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Quale istituzione moderna in Cina fornisce vitto, alloggio, flirt e babysitter tutto sotto lo stesso tetto? Non ci riesce il partito comunista, ma ci prova il colosso svedese dei mobili Ikea, che sta sperimentando un capitalismo camaleontico che ammalia clienti all’insegna della glocalizzazione (la creazione o distribuzione di prodotti e servizi ideati per un mercato globale o internazionale, ma modificati in base alle leggi o alla cultura locale, secondo la teoria del sociologo Zygmunt Bauman), anche economica nei mercati forti dell’Asia, e con un settore immobiliare in ascesa.

La strategia Ikea

Il più forte retailer al mondo di mobili e arredamento, spiega il Financial Times, non solo invita i cinesi a riposarsi sui suoi letti e a mangiare nelle sue cucine, ma permette anche ai pensionati di farsi una bisca a carte nei suoi ristoranti e offre assistenza gratuita ai nipotini, per rendere bene il suo concetto di “Eat, Drink Man Woman”.

Il fenomeno polpette

E il capitalismo svedese può realizzare qualcosa che il comunismo cinese non ha mai sperimentato prima: non solo lo stile, la qualità e i prezzi bassi ma anche le polpette. Quando Ikea ha aperto il suo primo store nella periferia di Shangai la scorsa settimana, la vendita di polpette ha attirato circa 80mila persone al giorno nel weekend, e ha provocato svenimenti in code che si snodavano sotto ai 35 gradi estivi. Ma chi è riuscito a varcare la soglia del negozio, ha trovato i benefici della globalizzazione, farciti alla cinese. Ikea infatti è riuscita a diventare “glocal”, presentandosi al grande pubblico come non erano riusciti a fare colossi del retail come Best Buy, Home Depot, Media Markt e più recentemente Tesco (scappati e arresisi al mercato cinese).

Il boom immobiliare cinese

Quasi ogni cosa nello store Ikea sembra familiare per un cliente occidentale. Ma in Cina tutto è disposto più alla maniera di Shangai che della Svezia. E’ come se si fosse in una casa delle bambole cinese arredata con mobili svedesi. La crescita irrazionale dei prezzi immobiliari nel Paese fa sì che le famiglie non possano permettersi appartamenti più grandi di 50 o 60 metri quadri per genitori, figlio unico e a volte nonni. E coppiette e professionisti spesso si accontentano di case anche di 25 metri quadri. Per questo Ikea ha creato una linea di arredamento chiara e semplice che può adattarsi a quelle che sono “case delle bambole” vere, e ad un buon prezzo, se si considera che un soggiorno competo costa meno di 490 dollari e una cucina la metà, assicurandosi così anche la fascia più bassa della classe media cinese.

E la gente può provare i mobili negli store. “Li lasciamo dormire fino a quando non chiudiamo la sera – spiega al Financial Times un addetto vendite -. Poco male se non dovessero comprare nulla la prima volta, siamo sicuri che torneranno”. Caffè gratuiti, angoli per far conoscere single e dormite comode contribuiscono a creare un brand che i cinesi stanno imparando ad amare.

Le mire in India

Ma non solo Cina. Prende infatti corpo lo sbarco della società in India, con un piano di investimenti da 1,2 miliardi di euro in 10 anni. Ikea ha identificato i quattro Stati (Haryana, Andra Pradesh, Maharashtra e Karnataka) in cui nasceranno altrettanti negozi. L’investimento è il più importante a cui il governo indiano abbia dato il via libera da quando è stata ammessa la possibilità della costituzione da parte di investitori stranieri di filiali controllate al 100%, come lo è appunto Ikea India. Un colosso che resta simbolo del capitalismo occidentale, ma, dopo aver ben studiato la lezione di Bauman, senza farsi notare.

Ikea, ecco come farsi adorare dalla Cina comunista

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