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È una fredda mattina d’inverno quella in cui un anziano signore, convintamente ateo, decide di andare al funerale cattolico, officiato in chiesa, di un suo carissimo amico profondamente credente e nonostante sia calvo e il freddo pungente, appena giunge all’ingresso della chiesa dove sta per iniziare il rito funebre si toglie il cappello. Il motivo preciso per cui sia richiesto togliersi il cappello in chiesa non lo sa: ma sa che è richiesto fare così. Non c’è nulla di straordinario nella sua decisione, solo rispetto per il suo amico e per il luogo e le regole comportamentali che lì dove ha scelto di essere salutato per l’ultima volta sono richieste. Lui vuole rendere omaggio per l’ultima volta al suo amico, non a sé stesso. È per questa semplicissima ragione che non sono d’accordo con Walter Veltroni che ha definito “straordinaria” la scelta di papa Francesco di non farsi il segno della croce davanti al feretro di Giorgio Napolitano in una sala adibita a camera ardente dell’ex Presidente scomparso. Difficile dubitare che il papa sia credente, ma non aveva bisogno di confermarselo, piuttosto aveva bisogno di confermare il cristiano rispetto per l’altro, quel rispetto che troppo spesso non si ha, perdendolo così anche verso di sé. Proviamo a pensare a un imam italiano che avesse deciso di omaggiare l’ex Presidente della sua Repubblica: se fosse entrato nella camera ardente e si fosse prosternato come è uso per i musulmani in preghiera, avrebbe dimostrato rispetto per sé e per Napolitano? Quale imam italiano avrebbe potuto farlo, ma per me sarebbe stato irriguardoso del non credente Napolitano e di sé.

Re Giorgio, come spesso veniva chiamato il Presidente Napolitano, era profondamente rispettoso della Chiesa e delle sue prerogative, del suo ruolo e peso culturale nel nostro Paese, ma non era credente. E il papa, con il suo crocifisso regolarmente sul collo, ha reso omaggio a quell’uomo rispettoso degli altri e del ruolo fondamentale dei cattolici nella nostra società. Per lui inoltre, ritengo, farsi il segno della croce non è una cosa banale, quasi uno scongiuro, come potrebbe sembrare guardando qualche calciatore che entrando in campo lo fa tre o quattro volte di seguito. Molte volte, andando allo stadio, ho visto tifosi farsi il segno della croce prima che il loro beniamino tiri un calcio di rigore, mentre altri vicino a loro si tengono le mani strette in mezzo alle gambe, toccandosi le parti più intime. No. Il segno della croce non è uno scongiuro, eppure questi comportamenti ci appaiono normali.

Così mi sono ricordato dei giorni successivi all’elezione a vescovo di Roma (i cardinali eleggono il vescovo di Roma, tanto per la cronaca). Il papa neo-eletto, Francesco, incontrò la stampa in Sala Nervi. Terminata l’udienza lui disse che a quel punto sarebbe stato suo compito benedire i presenti, ma aggiunse che non lo avrebbe fatto per rispetto dei molti operatori non credenti presenti per motivi di lavoro, non di fede. Erano lì non per fede, ma per dovere lavorativo, e lui per rispettarli non diede la benedizione. Quando si dice il rispetto! Il rispetto è dovuto, anche se così facendo il vescovo di Roma sapeva benissimo che toglieva qualcosa ai giornalisti credenti che erano presenti. Beh, loro avrebbero avuto altre occasioni per essere benedetti dal papa.

Quando si dice che non c’è costrizione nei fatti di fede si dice questo: laicità, cioè rispetto. Senza rispetto non c’è pluralismo, c’è imposizione di sé, che poi diventa facilmente obbligo.

Le polemiche suscitate dalla scelta del papa mi sembrano ridurre il farsi il segno della croce a una forma, come il dare la mano, o salutare con la mano aperta presunte folle festanti (che mai ci sono) arrivando a un summit tra capi di Stato. Ma fare, o farsi, il segno della croce non è né uno scongiuro, né un obbligo di “cristianità”, né una forma da religione civile, quelle forme che si seguono anche senza credere. Nessuno obbligava Francesco a recarsi a rendere omaggio a Napolitano, rispettare la forma non confessionale scelta dal defunto è stato un atto dovuto per un credente che non crede che la fede possa essere imposta, ma non accetta neanche che possa essere ridotta a fatto esteriore e formale. Lui voleva omaggiare Napolitano, non se stesso. Se uno crede può dimostrarlo con la coerenza evangelica del suo comportamento, per esempio andando da credente a un saluto laico, riconoscendo così che siamo tutti figlio di Dio, a prescindere dalla fede professata, o dal colore della pelle. Il papa lo ha fatto tornando da un viaggio per lui faticoso, questo per me è straordinario.

Era più facile andarsi a riposare in Vaticano. É stata questa la sua testimonianza cristiana, quel camminare da solo pur avendo i noti problemi deambulatori. Traduco cercando i termini di vita cristiana: non serve mettere un crocifisso nei nostri porti per dimostrare le radici cristiane della nostra amata Patria, come una proposta di legge chiede di fare proprio in questi giorni: meglio- per chi crede- comportarsi anche lì cristianamente, ad esempio con chi a poca distanza da quei porti fosse in gravi difficoltà. La presenza di centinaia di crocifissi in questi scali marini in assenza di comportamenti cristiani non dimostrerebbe quelle radici di cui tanto si parla in queste ore. Ecco perché ammiro la scelta di Francesco di andare, zoppicando, faticando, fino al Senato della Repubblica per salutare l’uomo Giorgio Napolitano.

Il papa claudicante va a salutare Napolitano, ecco il vero atto cristiano

Difficile dubitare che il papa sia credente, ma non aveva bisogno di confermarselo, piuttosto aveva bisogno di confermare il cristiano rispetto per l’altro, quel rispetto che troppo spesso non si ha. La lettura di Riccardo Cristiano

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