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Prima che il governo di Enrico Letta vedesse la luce, il capo dello Stato aveva ricordato la temperie che aveva portato, nel 1976, alla stagione del cosiddetto “compromesso storico”.

Quel riferimento storico aveva riportato alla memoria i tempi in cui in Italia il bipolarismo c’era davvero ed era interpretato da grandi partiti popolari, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

Neppure la tragica sparatoria davanti a Palazzo Chigi nel giorno del giuramento può rendere plausibile un’idea di sovrapposizione fra due ere geologiche troppo diverse. Allo stesso modo, non possiamo continuare a pretendere di archiviare la storia politica italiana e l’assetto dei partiti europei come incidenti e invece considerare ‘normali’ esperimenti in laboratorio come le coalizioni che hanno dominato le scene in questi ultimi vent’anni.

Le esperienze della Dc e della sinistra rappresentano radici così profonde che i diversi tentativi di estirparle non sono riusciti. E se Sarina Biraghi nel suo editoriale di ieri sulle colonne del Tempo riconosce un collante democristiano al nuovo governo non è proprio un caso.

Il nuovo esecutivo è guidato da giovani post Dc, Enrico Letta ed Angelino Alfano. Occupano ruoli significativi altri figli e nipoti del mitico Scudocrociato: Dario Franceschini, Gianpiero D’Alia, Maurizio Lupi e Mario Mauro.

Si tratta di una generazione di mezzo. Limitarli nell’identità di Piazza del Gesù sarebbe fare un torto a loro, e ai lettori. Bisognerebbe però avere le bende agli occhi per non vedere che la nuova squadra di governo ha, almeno nelle personalità citate, una matrice comune che unisce trasversalmente uomini politici che in questi anni hanno militato – del tutto innaturalmente – in partiti diversi.

La politica è un processo complesso che segue dinamiche non lineari. Ha però dei fondamentali. Per troppo tempo l’eccezione è stata la regola, e viceversa. Ora, si apre una finestra nuova e per certi versi inaspettata. Il governo dovrà contrastare la crisi economica, il parlamento sarà impegnato nelle riforme istituzionali, e i partiti? L’occasione da cogliere è forse irripetibile.

La spaccatura del Pd, nella sua drammaticità (da non prendere sottogamba), ha riproposto con forza e chiarezza il tema dell’identità culturale delle forze politiche. La formazione della squadra di Enrico Letta ha offerto una risposta, o almeno: una risposta possibile.

Enrico Letta, Alfano, Franceschini, Lupi, Mauro e D’Alia possono essere l’avamposto (cui farebbe naturalmente parte anche il più giovane Matteo Renzi) di una nuova amalgama che ha origine nella Dc (senza vergognarsene) ma che chiaramente traguarda al 2050 e non agli anni ’70 o ’80.

Dall’altra parte, Fabrizio Barca, Nencini, Matteo Orfini, Gianni Pittella, e tanti altri con loro, possono raccogliere la sfida organizzando una sinistra senza complessi di inferiorità e che si iscriva a testa alta nel Partito Socialista Europeo.

Le due grandi formazioni potranno in futuro essere avversarie o alleate ma in ogni caso costituire punti di riferimento stabili per la politica italiana e comunitaria.

E’ solo un sogno? Sarà, ma intanto i Dc 2.0 ci sono, e sono pure al governo…

Una buona notizia: è arrivata la Dc 2.0

Prima che il governo di Enrico Letta vedesse la luce, il capo dello Stato aveva ricordato la temperie che aveva portato, nel 1976, alla stagione del cosiddetto “compromesso storico”. Quel riferimento storico aveva riportato alla memoria i tempi in cui in Italia il bipolarismo c’era davvero ed era interpretato da grandi partiti popolari, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.…

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