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L’India, il più grande esportatore mondiale di riso, giovedì ha vietato tutto l’export di “riso bianco non basmati”, nel tentativo di tenere sotto controllo i prezzi interni. La decisione nazionalista ha sollevato timori riguardo la sicurezza alimentare globale, anche in relazione al mancato accordo sui flussi di grano ucraino dal Mar Nero — che Mosca ha voluto far saltare all’interno delle dinamiche di guerra contro Kiev.

Il ministero indiano per gli Affari dei consumatori ha dichiarato di voler vietare le esportazioni per “abbassare il prezzo e garantire la disponibilità sul mercato interno”. Secondo il ministero, i prezzi del riso in India sono aumentati dell’11,5% nell’ultimo anno e del 3% nell’ultimo mese, a causa dell’aumento del 35% dei volumi di esportazione tra aprile e giugno. I prezzi sono saliti ai massimi pluriennali nelle ultime settimane anche a causa di un clima irregolare che minaccia la produzione. Recentemente varie aree del Paese sono state colpite da inondazioni, frutto di una stagione monsonica particolarmente violenta, all’interno però di periodi prolungati di siccità.

L’India è il più grande esportatore di riso al mondo, con circa il 40% delle esportazioni globali. È seguita dalla Thailandia e dal Vietnam, dove i prezzi del riso sono aumentati quest’anno, facendo lievitare i costi per i Paesi che sperano di aggirare il divieto di Nuova Delhi. Secondo diversi analisti, i prezzi più alti del cereale potrebbero alimentare l’inflazione alimentare globale.

La decisione di Nuova Delhi spingerà i commercianti a cancellare i contratti di vendita di circa 2 milioni di tonnellate di riso, per un valore di 1 miliardo di dollari, sul mercato mondiale. Diverse società commercializzanti avevano preparato lettere di credito dai produttori in previsione di restrizioni che si prevedeva il governo indiano avrebbe applicato, ma non ci si aspettava che l’esecutivo di Narendra Modi si muovesse così presto. Si pensava che le misure sarebbero entrate in vigore a settembre, oppure ad agosto. Giovedì invece il governo indiano ha dichiarato che il divieto sarebbe stato attivato subito, dal 20 luglio, e che solo le navi attualmente in carico sarebbero state autorizzate a esportare, non le future spedizioni (anche se già trattate).

Prima del divieto di esportazione, l’India era solita vendere circa 500.000 tonnellate di riso bianco non-basmati ogni mese. Circa 200.000 tonnellate di riso sono state caricate in vari porti indiani, e questa quantità sarà autorizzata a uscire, ha dichiarato Krishna Rao, presidente dell’Associazione degli esportatori di riso, parlando con la Reuters.

Tra i principali acquirenti di riso indiano non-basmati figurano Benin, Senegal, Costa d’Avorio, Togo, Guinea, Bangladesh e Nepal. Sono tutti Paesi debolmente sviluppati, dove il riso è un elemento cruciale per le diete locali. Il cereale è un alimento base per oltre 3 miliardi di persone e quasi il 90% di questa coltura ad alta intensità idrica viene prodotta in Asia, dove il modello climatico El Nino porta solitamente a una riduzione delle precipitazioni, pesando su coltivazioni water-sensitive come il riso appunto. Da aggiungere che anche quest’anno come lo scorso sono stati usati molti meno fertilizzanti in generale, visto l’aumento dei costi collegato anch’esso alla guerra russa in Ucraina.

Circolano immagini sui social network di indiani corsi in coda davanti ai supermercati etnici negli Stati Uniti una volta appresa la notizia, ma la questione riguarda soprattutto territori come l’Africa, colpita anche dalle potenziali conseguenze della questione del grano ucraino. “Si tratta di una reazione impulsiva, soprattutto se si considera che al 1° luglio le scorte di riso del governo erano tre volte superiori alla norma sulle scorte cuscinetto”, ha dichiarato Ashok Gulati, professore presso il Consiglio indiano per la ricerca sulle relazioni economiche internazionali. “Siamo in una posizione estremamente confortevole per quanto riguarda le scorte”, ha aggiunto.

“I Paesi hanno già a che fare con un’inflazione alimentare consistente, in particolare i Paesi poveri”, ha dichiarato Arif Husain, economista capo del World Food Programme delle Nazioni Unite. “Quando si dipende in modo particolare dalle importazioni di cibo e l’onere del debito è grave, la valuta si sta svalutando e i tassi di interesse aumentano, se sei un Paese povero che importa cibo o fertilizzanti, sei nei guai”, ha aggiunto Husain ragionando con il Financial Times. Il Wfp può comunque acquistare riso dall’India per i propri programmi nonostante il ban, perché il Wto lo scorso anno ha ordinato di esentare queste organizzazioni dai divieti di esportazione nazionali.

Va anche valutato che con ogni probabilità le stesse ragioni che stanno portando a una riduzione di produzione in India, potrebbero colpire anche le regioni produttrici cinesi, pure queste soggette agli effetti del Nino. Solo che la Cina è anche un importatore di riso, perché la produzione non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno interno. Questo significa che, davanti al calo delle produzioni cinesi, Pechino andrà a cercare di compensare la richiesta sul mercato internazionale, sottraendo ulteriori aliquote all’offerta ridotta dalla decisione indiana. Questo produce una previsione di picchi di prezzi molto vicini a quello drammatico del 2003.

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