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Il capolavoro autobiografico di Giovanni Papini (1881-1956) Un uomo finito compie qust’anno un secolo dalla sua prima pubblicazione per i “Quaderni della Voce raccolti da Giuseppe Prezzolini” (Firenze 1913). Successivamente è stato più volte ristampato da Vallecchi editore e, negli ultimi decenni, ha raggiunto un numero di traduzioni davvero impressionante, fra l’altro in bulgaro, finlandese, portoghese, russo, svedese, tedesco, inglese, francese e danese.

 

“Un uomo finito” tradotto e ripubblicato

L’ultima edizione italiana disponibile è quella curata dalla “Leonardo da Vinci”, nella collana diretta da monsignor Antonio Livi, annotata ed arricchita da un’appendice di Anna Casini Paszkowski, che è l’erede delle lettere e dell’Archivio Papini (cfr. Giovanni Papini, Un uomo finito, con una Introduzione critica di François Livi, Leonardo da Vinci editrice, Roma 2011, pp. 362).

Papini cominciò a scrivere questo libro quando aveva ventisette anni e da poco si era conclusa la sua esperienza nella battagliera rivista letteraria Leonardo (1903-1907). In una lettera all’amico pittore Ardengo Soffici (1879-1964) scriveva a proposito del libro: «Ho cominciato ieri una specie di romanzo tratto dalla mia vita, e sento d’esser così pieno di cose e di ricordi poetici che verrà certo una bella cosa». Di questa «bella cosa» lo scrittore fiorentino parlava anche all’amico Prezzolini, definendo, in una lettera, il libro come «la storia interna e tragica di un’anima che ha sognato grandi cose e che si ritira e rinunzia per il riconoscimento della propria debolezza e per l’ostilità e bassezza degli uomini. Sarà fatto di ricordi, di sfoghi, di lirica ecc. Non dirò che sia proprio autobiografico, ma certo ci sarà molto di me e della mia anima».

 

La conversione di Papini

Un uomo finito presenta solo accenni al Vangelo, perché si dovranno aspettare quasi dieci anni per la definitiva apertura al Cattolicesimo di Papini, il quale si convertirà anche a seguito della traumatica esperienza avuta nella prima guerra mondiale. La Storia di Cristo, uno dei «libri entusiasmanti» scritti sulla figura del Salvatore, come ebbe a definirlo Benedetto XVI nel primo volume del suo Gesù di Nazareth, segnò nell’anima dello scrittore fiorentino il seguito logico di quanto germinalmente espresso in Un uomo finito. Per sua esplicita ammissione, ricorda l’italianista dell’Università Paris-Sorbonne François Livi nella sua Introduzione al libro rieditato dalla “Leonardo da Vinci”, dopo la storia di «un uomo che volle essere Dio», Papini scrisse nel 1911 la storia di quel «Dio che si è fatto uomo» per amore verso gli uomini.

Quando il Vicariato di Roma voleva “scomunicarlo”

Non sempre però, nella Chiesa, le quotazioni dello scrittore fiorentino sono state elevate. Ad esempio, dopo la pubblicazione nel 1953 (sempre per Vallecchi) del libro Il diavolo. Appunti per una futura diabologia, l’agenzia di stampa A.R.I. (“Agenzia Romana Informazioni”), diretta di fatto da monsignor Roberto Ronca (1901-1977), allora arcivescovo-prelato di Pompei (1948-1954), rilanciò con grande enfasi la notizia che il Vicariato di Roma ne avrebbe vietato l’esposizione ai librai cattolici. La stessa testata, che si avvaleva a quel tempo, fra gli altri, di un consulente di eccezione come il direttore de “L’Osservatore Romano” Giuseppe Dalla Torre (1885-1967), commentò la notizia affermando che ciò avrebbe preluso alla messa all’Indice dell’opera. L’A.R.I. sosteneva tale opinione riportando una dichiarazione di «un autorevole prelato della Curia di Roma», secondo il quale, come si riportava in un lancio del 5 gennaio 1954, «L’eternità dell’Inferno è un dogma di fede e quindi è escluso che la suprema congregazione del Santo Uffizio permetta ai cattolici di leggere un libro come “Il diavolo”, che sostiene un errore così grave e cioè che alla fine l’amore di Dio perdonerà anche Satana, così che l’Inferno avrà fine».

 

Un uomo “che seppe trovare la strada”

Oltre al fatto che l’indice dei libri proibiti sarà pochi anni dopo sospeso (da Paolo VI nel 1966), il libro di Papini non vi sarà comunque mai incluso. La fortuna dei suoi libri, anche ma non solo nel mondo cattolico, testimoniano quindi che anche oggi lo scrittore fiorentino non è affatto “un uomo finito”. Come ha ricordato ieri su “Riscossa Cristiana” Giovanni Lugaresi, quella di Papini rimane «l’anima religiosa di un uomo, di uno scrittore, che non si stancò mai di cercare, che ebbe e professò la fede, testimoniandola poi, anche, attraverso la prova della malattia, per concludere l’esistenza terrena in una esemplare catarsi» (G. Lugaresi, Giovanni Papini, un uomo finito che seppe trovare la strada, http://www.riscossacristiana.it/, 25 Maggio 2013).

Papini non è “un uomo finito”

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