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Inizia maggio con tre novità. La prima, riportata sui mezzi di informazione, che il Pun (prezzo unico nazionale), cioè il prezzo di riferimento dell’energia all’ingrosso acquistata sulla Borsa Elettrica il 1° maggio in Italia è stato pari circa a zero per 7 ore. Altrove in Europa il valore avrebbe potuto essere negativo (in Italia non è consentito). Se lavorassero a mercato, gli impianti interessati, per 7 ore (proprio quelle di maggior produzione), non sarebbero stati remunerati. La domanda è stata la metà del solito, mentre gli impianti eolici e fotovoltaici in quelle sette ore hanno prodotto a “manetta”. Va ricordato però che se il prezzo è andato vicino a zero, quell’energia non è stata gratis.

La seconda la pubblicazione dello studio “The Climate Paradox: Why We Need to Reset Action on Climate Change” pubblicato dal Tony Blair Institute for Global Change che, in buona sostanza, esprime l’esigenza di depoliticizzare le politiche del clima. La terza è la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del DL Bollette, che contiene alcune misure per affrontare il caro energia.

Un tema difficile quello del caro energia, che non è un fatto contingente, ma che affligge il sistema italiano da tempo. Alcune politiche sono state avviate. Ad esempio l’Energy Release 2.0.

Tuttavia, per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo del tessuto industriale italiano, è indispensabile assicurare condizioni di accesso all’energia e alla decarbonizzazione a costi competitivi, attraverso una visione di medio-lungo periodo. Gli investimenti industriali, infatti, hanno orizzonti di almeno dieci anni. Questo è un tema ampiamente discusso all’interno dei settori industriali che costituiscono la domanda industriale.

Infatti, l’energia rappresenta un fattore delle produzione essenziale ed una delle principali voci di costo per l’industria manifatturiera. Ed è quindi strategica nella pianificazione degli investimenti necessari per restare competitivi.
Un esempio di visione di medio-lungo periodo è stata proprio quello del gas. Fin dagli anni 60 l’Italia ha costruito la propria strategia energetica ed industriale sul gas, combustibile fossile più pulito, un’infrastruttura del Paese difficilmente sostituibile e che può costituire ancora un parte importante del mix energetico.

Purtroppo, il mercato italiano dell’energia mostra delle gravi criticità sul fronte della competitività e della concorrenza. Lo dimostra in particolare la formazione dei prezzi all’ingrosso, che risultano oggi tra i più alti d’Europa. Nel solo anno 2024 il prezzo è stato pari in Italia a 108,52 €/MWh, in Germania a 78,51 €/MWh, in Francia a 58,02 €/MWh e in Spagna a 63,04 €/MWh. (Fonte dati GME). Cosi nel solo 2024 la differenza è stata superiore di oltre il 63% (108,52 €/MWh contro 66,52 €/MWh della media europea). (Fonte dati GME).

Si evidenzia come a differenza degli altri Paesi europei la produzione nazionale rinnovabile, che in Italia ha rappresentato nel 2023 il 38,6% del totale (8,9% eolico, 11,6% FV, 2,2% geotermico e 15,9% idroelettrico) non ha garantito alcun beneficio nella formazione del prezzo all’ingrosso (fonte dati Terna).

Perché ci troviamo in tale situazione? La risposta è che l’architettura di mercato non è più funzionale agli obiettivi agli obiettivi di politica industriale del Paese e, a quelli ulteriori, di decarbonizzazione. Questa architettura riesce, invece, a garantire rendite di posizione ai produttori di energia elettrica e agli importatori di gas naturale.

Emblematico è il caso dell’energia idroelettrica: circa la metà della produzione rinnovabile italiana proviene da concessioni di grande derivazione idroelettrica, molte delle quali da rinnovare. Nonostante costi operativi bassi (stimabili in circa 20 €/MWh), questa energia viene venduta agli stessi prezzi dell’energia generata da centrali a gas naturale, i cui costi sono aumentati a seguito della crisi energetica e delle tasse ambientali ETS. Per effetto dell’architettura del mercato, si incassa la tassa ambientale dai consumatori senza doverla pagare. Si tratta di rendite che, negli ultimi anni, hanno superato i 3 miliardi di euro annui.

Anche il mercato del gas naturale presenta distorsioni rilevanti. Nonostante il 90% del gas utilizzato oggi in Italia provenga da fonti diverse dal Nord Europa, i costi di trasporto da quelle aree continuano a gravare sulla totalità del consumo nazionale. Il risultato? Un costo aggiuntivo per i consumatori stimato in oltre 1 miliardo di euro all’anno, di cui circa 170 milioni solo nel mese di aprile 2025. 2-3 euro MkW che diventano 4-5 in alcuni momenti.

Un’altra pecca dell’architettura del mercato.

Gli attuali schemi di supporto alle imprese energivore, pur utili, non chiudono il differenziale competitivo rispetto ai Paesi esteri. In Francia, ad esempio, è attiva la tariffa ARENH, in Germania strumenti come la legge StromNEV e Stromsteuer, che garantiscono costi energetici più bassi e maggiore stabilità di prospettiva.

Per ridurre il gap di competitività, gli industriali italiani hanno già aderito volontariamente ai meccanismi di interrompibilità promossi da Terna: un sistema che, in cambio di un premio fisso, prevede l’interruzione immediata della produzione in caso di necessità per la sicurezza del sistema elettrico. Questo servizio costa circa 400 milioni di euro l’anno, un importo pari a un quinto rispetto a quello del Capacity Market, lo strumento di remunerazione previsto per i produttori elettrici a gas, contrattualizzato su un orizzonte di quattro anni per la totalità degli impianti.

Diversamente dal Capacity Market riguardante i produttori di energia, i servizi di interrompibilità sono però rinnovati su base annuale e sono disponibili solo per circa 1000 imprese, senza garantire una pianificazione a lungo termine.

Sulla base di queste criticità e considerazioni, i consumatori industriali hanno chiesto al governo di intervenire con misure strutturali. Il mercato italiano dell’energia offre margini di manovra per correggere le distorsioni alla radice, senza costi per la finanza pubblica, garantendo competitività a tutte le imprese industriali.

Un tema ancora più urgente in tempi di radicali cambiamenti geopolitici e di imposizione di dazi. E i dazi generalizzati al 10 % negli Usa sono già in vigore dal 5 aprile.

Se fosse utile… potremmo tutti arruolarci nel rango dei pessimisti! Ma non è né utile né opportuno.

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