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L’Unione europea non è d’accordo con la linea di Netanyahu. Secondo Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, le parole del commissario per la politica estera Joseph Borrell sulla soluzione di due Stati e due popoli ha anche questa rilevanza, mettendo in evidenza come dal Consiglio per gli affari esteri emerga una posizione chiara. Ma la crisi a Gaza è strettamente connessa ad altre tensioni, come nel Mar Rosso, dove la capacità di reazione europea si ritrova alla voce Aspis. Nel mezzo la postura di Giorgia Meloni che, dopo l’India, prova a scrivere una pagina nuova anche con la Turchia. “C’è una certa simpatia di Erdogan verso la nostra premier, forse un’eredità dei buoni rapporti con Berlusconi”.

La proposta Borrell su Gaza è il cuore del Consiglio Ue: è ciò che serve?

In realtà guardando l’agenda del Consiglio ci si accorge che è molto più ricca di incontri regionali e di scambi di vedute di quello che poi non lascia trasparire la comunicazione pubblica. Quindi da questo punto di vista l’Alto rappresentante presenta una continuità di contatti con tutti gli attori della regione e ciò è molto positivo. La proposta di Borrell chiaramente non è una novità. Quello che però è una novità è che si tratta di una risposta indiretta alla negazione aperta di Netanyahu sul progetto di due popoli e due Stati.

In che misura?

In passato la politica israeliana, almeno verbalmente, diceva di condividere questa proposta. Adesso questo tabù è saltato. Naturalmente si può sostenere che Netanyahu, per ragioni di politica interna, deve mostrare questa linea dura. Il brutale attacco di Hamas ha tolto questo velo di correttezza politica, ciò naturalmente pone dei problemi alla politica israeliana.

Quali?

In primis lo status quo post Oslo non è più sostenibile: se il Primo ministro dice che tutta la sua carriera politica è stata basata sulla negazione di due popoli e due Stati, ciò crea un precedente importante nel dialogo politico con il governo israeliano. Al di là delle personalizzazioni e delle drammatizzazioni il fatto che l’Unione europea abbia preavvisato gli israeliani di questo tipo di posizione, ovvero che pubblicamente affermi di nuovo la necessità di questa soluzione, rappresenta un fatto piuttosto nuovo. In parole povere Borrell dice che l’Unione europea non è d’accordo con la linea di Netanyahu.

Cosa significa?

Che per l’Europa la soluzione di due popoli e due Stati è quella che va perseguita. Ricordo un piccolo centro studi israeliano, oggi scomparso, che anni fa effettuò uno studio dettagliato sulla soluzione uno stato due popoli. Niente di meno di ciò che accade con tanti altri Paesi che hanno minoranze oppure maggioranze importanti di popolazione: Israele non è affatto l’unico Paese ad avere questo problema.

Quanto è fattibile?

È comprensibile, ma non è detto che sia così facile per tanti motivi. Aggiungo che nessuno sa per quanto tempo l’economia israeliana potrà permettersi di continuare con la guerra. Sullo sfondo resta una situazione molto tragica per la popolazione di Gaza di cui credo che nessuno abbia dubbi sull’entità, elemento che crea anche un dibattito molto forte all’interno dell’opinione pubblica israeliana.

La decisione del governo italiano di contribuire alla missione Aspis nel Mar Rosso che vantaggi ha per la postura italiana sulla crisi?

Questa scelta ha diverse sfumature. Innanzitutto per l’Italia la libertà di navigazione non è un semplice vantaggio ma un interesse primario, dal momento che già abbiamo dei costi di energia triplicati perché non possiamo accedere all’energia a più basso costo russa. Quindi è un interesse primario la libertà di navigazione per un Paese commerciante che esporta e importa. La missione si chiama scudo, quindi non è aggressiva ma è una missione di protezione al traffico mercantile. L’impianto della misura è che tutela un interesse primario.

Con quali rischi?

Naturalmente non è detto che gli interessi primari non entrino in conflitto con altri interessi, quindi è chiaro che l’Italia ha sempre preferito avere una linea di più basso profilo e il meno possibile dipendente dall’impiego di mezzi militari. Però bisogna anche dire che l’Italia nelle cosiddette missioni di pace è presente dagli anni ’60.  Il movimento di guerriglia è una forza irregolare, armata e sostenuta dall’Iran: naturalmente l’Italia ha le sue lealtà collettive e l’Iran non è esattamente un attore con cui si vuole entrare in conflitto. D’altro canto, gli Houthi sanno benissimo che il loro valore politico dopo l’accordo Arabia Saudita-Teheran è sceso. Cioè gli Houthi si stanno preparando al futuro, a un futuro dove sono meno sostenuti da Teheran, anche se non per questo più indipendenti. Ma è un futuro dove o devono individuare altri sostenitori o un valore aggiunto: e disturbare il commercio è un modo per attribuirsi un’importanza non secondaria.

La proposta del ministro Antonio Tajani di un commissario europeo alla Difesa è utile?

È una proposta interessante che merita naturalmente un’elaborazione a 27 per arrivare non a un altro posto ma a uno strumento efficace. Certo che ci vuole un commissario alla difesa, ma non è detto che un commissario alla difesa su una faccenda così intergovernativa sia il toccasana: potrebbe anche essere un ostacolo. Osservo però che gli italiani hanno questa tradizione di fare delle proposte avanzate e di visione. Questa è una di quelle. Un po’ come fece Andreotti quando propose di fare il seggio europeo al Consiglio di Sicurezza.

Interscambio, Libia, Africa: che vantaggio può avere l’Italia da una relazione diversa con la Turchia, dopo la visita di Giorgia Meloni?

Sui migranti credo che l’intesa sia più facile, semplicemente perché Erdogan ha già un precedente molto robusto con l’Unione europea: il Piano Mattei, come per ora vediamo, non è che abbia tantissimi soldi da impiegare. Ma aggiungo, a sostegno, l’elemento umano: c’è una certa simpatia di Erdogan verso la nostra premier, forse un’eredità dei buoni rapporti con Berlusconi. L’ho visto dal linguaggio corporeo: da parte del presidente turco esiste una curiosità, un interesse e anche una certa apertura cordiale di credito. Sulla Libia la faccenda è decisamente più complicata: da un punto di vista puramente formale noi siamo dal lato del governo legittimo sostenuto dall’Onu e i turchi hanno salvato questo governo quando stava per essere rovesciato da Haftar. Quindi, da un punto di vista di correttezza politica, siamo dalla parte giusta.

Haftar è sostenuto da Wagner.

Non solo i russi lo sostengono, ci sono anche indirettamente anche altri importanti stati arabi. E anche qui il vero problema è capire che cosa veramente riusciamo a ottenere in Libia dove i turchi hanno stabilito una posizione molto forte.

Ho l’impressione che, probabilmente, poi saremo indotti a rafforzare la nostra presenza in Libia non solo con ospedali da campo, ma con qualcosa di più concreto. Però secondo me è un capitolo tutto da scrivere.

Per quali ragioni?

In primis perché il governo libico è molto fragile e instabile, in secondo luogo perché ancora non si riescono a conciliare le due parti della Libia per ovvi motivi, anche perché dall’altra parte c’è un dittatore assolutamente cesariano. La partita si giocherà chiaramente sulla questione dell’energia, dove i turchi hanno un vantaggio: possono interdire l’accesso ai giacimenti ciprioti, così come fatto anni fa con la nave Saipem. Ma come abbiamo già visto con l’India, Giorgia Meloni prova a fare un reset per voltare pagina. Mi sembra un approccio pragmatico. Se son rose fioriranno.

Da Gaza al Mar Rosso, tutti i dossier sul tavolo dell'Ue (e dell'Italia) letti da Politi

“L’intervento italiano nel Mar Rosso? La libertà di navigazione non è un vantaggio ma un interesse primario per un Paese che esporta e importa. La postura di Meloni? Con India e Turchia prova a voltare pagina. Un commissario Ue alla difesa? Proposta interessante che merita naturalmente un’elaborazione a 27”. Conversazione con il direttore della Nato Defense College Foundation, Alessandro Politi

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