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Oggi ci confrontiamo con un quadro delicato e incerto. Rispetto a due anni fa, quando nel 2021 l’Italia ospitò il pre-vertice sui sistemi alimentari, la situazione si è ulteriormente aggravata e i numeri della fame nel mondo sono peggiorati. Le sfide che ci attendono sono principalmente tre.

Da un lato emergono gli effetti socio-economici negativi derivanti dalla pandemia, particolarmente gravi soprattutto in alcune aree fragili. Poi c’è l’impatto del cambiamento climatico sui sistemi agricoli e le conseguenze dell’inasprimento dei conflitti, in particolar modo di quello in Ucraina. Ancora oggi le guerre sono infatti la principale causa di fame nel mondo.

I dati mostrano che nel 2021, purtroppo, più di 828 milioni di persone sono entrate nell’area della malnutrizione e della fame, un balzo in avanti di oltre 150 milioni di persone tra prima e dopo il Covid-19. Le regioni più problematiche, sul tema, sono in Asia e in Africa. Il cambiamento climatico sta impattando in maniera pesante sulla malnutrizione e sulla fame e le nostre proiezioni per gli anni futuri individuano proprio nelle conseguenze del cambiamento climatico una delle cause fondamentali della fame.

Le nostre stime purtroppo indicano che, da qui al 2030, quasi 122 milioni di persone rischiano di entrare nell’area della povertà a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici. Ci troviamo perciò in un momento molto delicato, l’Agenda 2030 indica obiettivi che sono ormai definibili di breve periodo. Il 2030 è alle porte e la situazione si è ulteriormente aggravata rispetto a qualche anno fa.

È per questo che summit come l’Un Food systems Stocktaking moment di Roma possono fare la differenza solo se riescono ad analizzare lo stato dell’arte delle azioni che ogni Paese sta adottando e se valutano con concretezza le azioni pubbliche.

Lo scopo fondamentale del Summit che si terrà a breve a Roma, anche grazie all’impegno del governo italiano, sarà proprio quello di fare un’analisi precisa delle responsabilità, delle azioni, dei progetti, degli impegni che la comunità internazionale si deve assumere per raddoppiare gli sforzi nella metà del tempo.

Questo anche perché i numeri sottolineano un’emergenza: abbiamo alle spalle un ciclo di aumento dei prezzi dei beni agricoli di base che l’indice mensile di riferimento ha segnalato in maniera costante dalla pandemia in avanti. Per fortuna la situazione negli ultimi mesi si è stabilizzata, ma esistono alcune realtà dove l’aumento dei prezzi raggiunge addirittura le tre cifre.

Si tratta di luoghi dove basta che rincarino farina e pane perché si aggravi il quadro economico-sociale. È una condizione che spesso sfugge, ma va ricordato che in tanti Paesi in via di sviluppo il costo di farina e pane può fare la differenza tra stabilità e instabilità, tra incertezza socio-economica di intere comunità e minimi standard di sicurezza.

In tale contesto, cosa fare? Sicuramente sottolineare l’importanza di mantenere i mercati aperti e di impedire che si innalzino barriere protezionistiche. Poi, sostenere i Paesi nel diversificare l’offerta e le importazioni. Bisogna lavorare per ridurre il più possibile sprechi e perdite alimentari.

È per questi motivi che la Fao ha sviluppato programmi che hanno impatti nei territori, in tante di queste realtà dove è fondamentale portare un aiuto anche nella riduzione delle perdite. Certo, bisogna anche aiutare finanziariamente gli Stati che ne hanno bisogno, spesso e volentieri si tratta di realtà con alti debiti pubblici che necessitano degli strumenti finanziari adeguati.

L’impegno più stringente è legato però a una presa di coscienza necessaria. È importante oggi parlare al plurale di sistemi agro-alimentari e sapere che ogni territorio e ogni contesto ha le proprie caratteristiche peculiari. Una pluralità che deve essere riconosciuta anche in una prospettiva unitaria globale.

In questo senso il messaggio legato ai mercati aperti, alla cooperazione tra sistemi differenti è fondamentale. Bisogna costruire un equilibrio più giusto tra sistemi agro-alimentari, prospettive ambientali, soluzioni e misure socio-economiche; rafforzare le regole del multilateralismo, costruire strategie di adattamento alla svolta climatico-ambientale in ogni territorio, impegnandosi per allargare la platea degli attori coinvolti.

Le politiche pubbliche possono aiutare soprattutto le comunità più fragili. Il summit di Roma avrà un grande compito, che è quello di provare a dare nuova forza, nuovo slancio e nuova consapevolezza al multilateralismo alimentare, perché per costruire nuove soluzioni, è necessario essere consapevoli che unire le forze nel partenariato multilaterale è l’unica possibilità. E non a caso, per quell’occasione, ragioneremo in termini di coalizioni, unendo i Paesi per obiettivi, perché possano agire insieme.

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