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La solidarietà è una gara in cui vincono tutti, ma in Italia molti ostacoli possono comprometterne la sua realizzazione. È quello che accade nell’ambito delle donazioni alimentari, soggetto ad un’eccesiva burocrazia che impone agli esercenti donatori pesanti vincoli pratici. Nonostante le difficoltà qualche piccolo passo verso la lotta allo spreco però è stato compiuto. Nata a Genova nel 2007, l’iniziativa Pasto buono sostenuta da Qui Foundation, la Onlus presieduta da Gregorio Fogliani, è riuscita ad esempio a coinvolgere 120mila esercenti in tutta Italia da Roma, Firenze fino a Palermo. Questo progetto solidale recupera a fine giornata il cibo sano e invenduto dalla ristorazione a fini di solidarietà sociale incentivando chi aiuta e proteggendo la dignità di chi riceve.

I vantaggi per gli esercenti
Giovanni Arrigoni, consigliere delegato di Qui Group, società operante nel settore dei titoli di servizio per il welfare aziendale, in una conversazione con Formiche.net sottolinea che per un esercente aderire al progetto è tre volte virtuoso: “Rappresenta un gesto di solidarietà a costo zero, contribuisce alla riduzione dei rifiuti e dunque migliora la qualità dell’ambiente oltre al fatto che donando ogni sera l’invenduto assicura ai suoi clienti cibi sempre freschi di giornata”.

Il vuoto normativo
Ma la vera difficoltà per Arrigoni non consiste nel convincere gli esercenti ad aderire al progetto Pasto buono, ma riuscire a premiare chi collabora e studiare una logistica intelligente per fare incontrare l’offerta con i beneficiari. Partendo dalla rimozione degli ostacoli a carico di chi recupera i pasti invenduti: “Premettendo che le precauzioni nel trasporto del cibo sono d’obbligo – commenta Arrigoni – i vincoli posti per garantire i cibi in alcuni casi non sono ragionevoli”.
Come messo in risalto in un articolo firmato da Susanna Tamaro e pubblicato sul Corriere della Sera di Lunedì, tali vincoli riguardano una serie di norme igieniche che impongono ai donatori di dotarsi di contenitori appositi, furgoni refrigerati per il trasporto del cibo e di un costoso abbattitore di temperatura. “Il cibo c’è, e anche in abbondanza – scrive Tamaro – ma non lo si può mangiare perché non sono igieniche le condizioni di trasporto. Perché mangiare dal cassonetto è forse igienico? – si legge sul Corriere con riferimento all’abitudine sempre più diffusa di frugare nella spazzatura alla ricerca di cibo.
“Manca un chiaro quadro normativo che esoneri da rischi di responsabilità chi trasporta – aggiunge Arrigoni mettendo in risalto come “la quantità dei piccoli sprechi, ovvero quelli ottenuti dalla piccola ristorazione al cospetto della grande distribuzione, non va sottovalutata visto che dà vita, se vista nella sua totalità, ad una quantità di eccedenze tale da sfamare 40 milioni di persone”.

Un disegno di Legge
“Nell’ottobre del 2011 su iniziativa di un gruppo di senatori è stato presentato in Senato un disegno di Legge che proponeva delle modifiche alla Legge 25 giugno 2003, n. 155 in materia di distribuzione dei prodotti alimentari ai fini di solidarietà sociale”, ricorda Arrigoni. L’obiettivo del disegno di Legge è quello di rendere più efficace l’applicazione della cosiddetta Legge del “Buon Samaritano” e ridurre al minimo indispensabile i vincoli burocratici. Attualmente la Legge permette a tutte le Onlus che operano a fini di solidarietà sociale, di recuperare gli alimenti deperibili rimasti invenduti nel circuito della ristorazione organizzata e della grande distribuzione e di distribuirli gratuitamente ai bisognosi. Una legge troppo astratta per Arrigoni che sottolinea a tal proposito che il disegno di legge presentato al Senato punta a rendere esplicito il principio di non responsabilità in capo alle Onlus per le attività di distribuzione degli alimenti, salvo i casi di dolo e colpa grave, e prevede l’emanazione di un decreto finalizzato alla semplificazione degli adempimenti amministrativi e fiscali a carico degli esercenti, affinché siano resi più evidenti i vantaggi.
“Il disegno di legge è stato accolto ma si è fermato nelle Commissioni – commenta Arrigoni –. Ci auguriamo a questo punto che il nuovo Parlamento riprenda il testo al più presto perché colmare questo vuoto è importante per veicolare una cultura di solidarietà”.

Discuterne in sede comunitaria
Il tema della riduzione degli sprechi alimentari è stato affrontato anche da Nunzia De Girolamo, ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, che in un intervento pubblicato oggi sul Corriere della Sera, sottolinea la necessità di affrontare l’argomento “con il massimo impegno soprattutto in sede comunitaria”: “La sede in cui bisogna battersi per garantire gli aiuti alle persone in difficoltà è proprio l’Europa”.
Anche il ministro pone l’accento sul tema della semplificazione del processo di recupero: “Dobbiamo porci come obiettivo quello di dimezzare gli sprechi – spiega, – ottimizzando il ciclo del recupero delle eccedenze attraverso una normativa semplificata” e al contempo “lavorare a una norma che tuteli la salute di chi riceve poi effettivamente gli aiuti”.

Come evitare lo spreco alimentare

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