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Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi comparso sul quotidiano Italia Oggi.

Il motore dell’economia italiana continua a battere in testa. Ha chiuso il 2012 con un Pil molto più negativo delle aspettative del dicembre 2011, quando il governo tecnico presieduto da Mario Monti varò il cosiddetto dl Salva-Italia. All’epoca le stime del governo, anche scontando la legnata fiscale dell’Imu&co, erano molto più ottimistiche di quanto, poi, il risultato della decrescita sarebbe stato a consuntivo.

Il Pil 2012 entrò in Consiglio dei ministri per il varo del provvedimento Salva-Italia con un valore di stima pari a una lieve crescita dello 0,3% e ne uscì in recessione a -0,5%. A fine corsa, cioè al 31 dicembre scorso, l’Istat ha certificato un calo del Pil italiano del 2,4%. La differenza, trattandosi di documenti predisposti da un governo tecnico, è da fare rabbrividire: quasi il 400% di scostamento in negativo.

Il risultato del governo Monti, che ha fatto dell’Italia l’economia dell’eurozona con la più elevata pressione fiscale sul Pil pari al 45,3%, è, numeri alla mano, ben peggiore di quello degli altri Paesi in crisi nella moneta unica. Solo Grecia e Portogallo hanno accusato, nel 2012, un calo del Pil più ampio di quello italiano, Spagna e Irlanda, invece, hanno navigato meglio. E il raffronto non può lasciar dormire sonni tranquilli agli italiani. Quello di Monti, infatti, è stato l’esecutivo meno incisivo fra tutti quelli dell’euro nel produrre risultati a livello di tagli alla spesa corrente pubblica.

La spending review del professore della Bocconi si è arenata sulla battigia delle trattative con ABC, Alfano, Bersani e Casini, tanto che oggi l’Italia è l’unico Paese in aggiustamento nell’eurozona che non ha operato tagli negli organici e nei salari dei dipendenti pubblici. Perché questo fatto impatta sul calcolo del Pil e sulla sua raffrontabilità? Per una ragione molto semplice: le convenzioni della contabilità pubblica assegnano un contributo alla produzione del Pil da parte delle amministrazioni pubbliche pari al loro costo di funzionamento.

Poiché non è possibile stabilire quanto valga effettivamente l’output della p.a., per convenzione si assegna allo stesso il costo sopportato dai contribuenti per produrre quell’output. I tagli a stipendi e organici pubblici fatti da Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda hanno, quindi, tutti impattato negativamente il calcolo del rispettivo Pil 2012. Se avessero agito come Monti il loro risultato sarebbe stato migliore. Ecco spiegato perché le scelte tutte fiscali di Monti non hanno arginato la crisi e soltanto rinviato l’impatto sul Pil dei tagli alla p.a. che l’Italia inevitabilmente dovrà fare.

Ecco i numeri che certificano il flop di Monti

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