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Diceva Niccolò Machiavelli che il 50 per cento dei successi del Principe dipende dalla sua capacità politica, ma il restante 50 per cento dipende dagli umori della dea Fortuna. Con tutta evidenza, Giorgia Meloni è una principessa fortunata. Le opposizioni sono deboli e divise, la recessione annunciata la scorsa estate non si è manifestata, l’economia italiana cresce più della media Ue, l’inflazione è in calo, la disoccupazione registra il livello più basso degli ultimi 14 anni. Ma la fortuna più grande di Giorgia Meloni, ci si perdoni il cinismo, è stata la guerra in Ucraina e il conseguente rafforzamento dell’autorevolezza americana sulla Vecchia Europa. La scelta graniticamente atlantista della premier garantisce infatti all’Italia margini di comprensione e flessibilità politica che gli alleati e le istituzioni europee mai ci hanno riconosciuto prima. Comprensione e flessibilità politica assicurate in modo particolare da Ursula von del Leyen, che confida nei voti meloniani per essere riconfermata presidente della Commissione europea il prossimo anno.

In questo contesto, dunque, è difficile leggere l’esito del Consiglio europeo di ieri come un fallimento italiano. È vero che Giorgia Meloni non è riuscita a convincere il polacco Mateusz Morawiecki e l’ungherese Viktor Orbán ad accettare la riforma del Regolamento di Dublino sui migranti. Ma, a parte il fatto che nessuno pensava potesse davvero farcela, mai sconfitta fu così vittoriosa. L’incarico di mediazione ricevuto da von der Leyen è di per sé una vittoria perché affranca agli occhi degli alleati europei e dei mercati finanziari globali Giorgia Meloni dall’orbita sovranista. Quanto al risultato finale, è già assicurato. I trattati europei prevedono infatti che sui migranti le decisioni vengano prese a maggioranza. C’è dunque da credere che all’inizio del prossimo anno il Parlamento europeo trasformerà in legge il Nuovo Patto sui Migranti sottoscritto dal Consiglio Ue dei ministri degli Interni nonostante la contrarietà di due Paesi su ventisette.

Resta la grana del mancato versamento della terza rata del Pnrr. Problema serio, perché di quei 19 miliardi il Tesoro italiano avrebbe una certa urgenza. A spiegare le ragioni del mancato versamento è stato oggi Federico Fubini sul Corriere: “Sembra che a dicembre scorso l’Italia abbia dichiarato a Bruxelles di aver già realizzato 7.500 posti letto per studenti (gli appalti sono ad opera delle università), ma per alcuni di questi i lavori sono ancora in corso. Gli errori sono da distribuire fra il governo precedente — che ha sottovalutato la complessità del progetto — e l’attuale che, tecnicamente, ha dichiarato a Bruxelles qualcosa che non era vero”. Un ennesimo segno di inefficienza della macchina pubblica italiana che i tecnici di Bruxelles hanno interpretato come un ennesimo segno dell’italica furbizia. Ma interessante è il fatto che von der Leyen abbia cercato di temperare a vantaggio dell’Italia le rigidità delle tecnostrutture europee. Nessuno ha dubbi, dunque, sul fatto che quei soldi arriveranno. E si uniranno ai risparmi dovuti alla probabile riforma dei fondi di coesione. L’accordo di massima stretto al Consiglio di ieri prevede infatti che tali risorse europee potranno finanziare al 100% i progetti nazionali senza più il bisogno di un cofinanziamento interno, che potranno andare anche alle grandi imprese e che verranno anticipate al 30% anziché al 10% della cubatura dell’opera.

No, non si può dire che per l’Italia ieri sia stata una brutta giornata. Il bicchiere è mezzo pieno, e la dea Fortuna sorride alla principessa Meloni.

Migranti ed Europa, Meloni è una principessa fortunata. Scrive Cangini

Se adottiamo la prospettiva di Machiavelli, non si può dire che al premier italiano manchi una dose di fortuna. È vero che non è riuscita a convincere il polacco Morawiecki e l’ungherese Orbán ad accettare la riforma del Regolamento di Dublino sui migranti. Ma, a parte il fatto che nessuno pensava potesse davvero farcela, mai sconfitta fu così vittoriosa. L’incarico di mediazione ricevuto da von der Leyen è di per sé una vittoria perché affranca agli occhi degli alleati europei e dei mercati finanziari globali Giorgia Meloni dall’orbita sovranista

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