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Solitamente, ed è la stessa Stratfor a spiegarlo, la società privata statunitense di intelligence non si occupa di questioni interne. L’entrata in vigore da ieri dei tagli lineari al bilancio Usa per il mancato accordo sulla riduzione del deficit ha tuttavia “un significato geopolitico”.

Metà degli 85 miliardi per l’anno fiscale in corso e dei 1.200 miliardi nei prossimi dieci anni saranno tagliati dal budget della difesa. “Non è tanto la somma a essere pericolosa, ma il modo in cui le riduzioni saranno portate avanti”, scrive Stratfor, riprendendo critiche già sollevate nei giorni scorsi sul sito Slate e puntando l’attenzione sui limiti posti nella gestione su dove intervenire per ridurre la spesa.

Sul settore militare pesano già le misure della “continuing resolution”, ossia la disposizione transitoria che permette di continuare i finanziamenti previsti in bilancio al livello stabilito e che potrebbe essere estesa anche dopo la scadenza del 27 marzo. Di fatto il bilancio è bloccato ai livelli dell’anno precedente. Il primo effetto nel breve termine è una perdita di rapidità d’azione.

La decisione della Marina di non schierare una seconda porterei nel Golfo Persico, riducendo quindi la tradizionale presenza nella regione, è considerato un po’ il simbolo di quanto sta accadendo. Allo stesso modo si ricordano la riduzione delle ore di volo per gli aerei, le manutenzioni delle navi rimandate, l’ipotesi di estendere il dispiegamento di uomini già preparati in determinati teatri di conflitto per sopperire alle riduzioni nell’addestramento delle nuove truppe. La necessità di rinegoziare contratti già stipulati o di dover pagare penali.

A medio e lungo termine gli effetti potrebbero essere più seri, continua Stratfor. Lasciare inattivi troppo a lungo mezzi ed equipaggiamenti ne ridurrebbe l’efficienza in caso di immediata necessità d’azione. Stesso discorso vale per la preparazione e l’addestramento del personale che deve mantenere sempre pronte le proprie capacità. Altro capitolo è quello dell’aggiornamento dei sistemi militari e la necessità di nuovo equipaggiamento. L’esempio negativo in questo caso è rappresentato dalla Russia, la cui forza risente ancora della caduta dell’Unione sovietica e delle conseguenze che questo portò nella scarsa manutenzione e mancato sviluppo della proprio apparato militare durante gli anni del declino.

Potenzialmente la regione più a rischio potrebbe essere qualla dell’Asia Pacifico, indicata come prioritaria con Hillary Clinton al dipartimento di Stato, meno ora con le prime scelte di John Kerry, il cui primo viaggio da numero uno della diplomazia Usa ha seguito la tradizione rotta Europa, Medio Oriente, ma che Chuck Hagel, nuovo capo del Pentagono giudica ancora fondamentale.

L’altra area a rischio è appunto il Medio Oriente, in particolare se gli Usa dovessero essere chiamati a un maggiore impegno nel corridoio Siria, Libano Iraq, dove forse non riuscirebbero a intervenire con la potenza e la struttura mostrata in passato.

Lo spettro della Russia anni Novanta è tuttavia ancora lontano, precisa Stratfor. Washington vanta ancora decenni di superiorità sebbene gli equilibri stiano cambiando. Una soluzione potrebbe essere, secondo l’agenzia d’intelligence, dare più margini di manovra al Pentagono in caso non si dovesse trovare una soluzione ai tagli lineari. Cercando così di evitare che la forza Usa subisca troppi danni.

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