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L’alba di una nuova fase nei rapporti tra Stati Uniti e Cina sembra esse più vicina che mai. A suggerirlo sono alcuni segnali registrati negli scorsi giorni, che spaziano dalla dimensione economica a quella politico-diplomatica. Come ad esempio la volontà, apparentemente condivisa da entrambe le parti, di estendere per la terza volta di 90 giorni la scadenza della moratoria sulle tariffe doganali reciproche, per favorire un dialogo più profondo tra i due attori. Un deciso cambio di approccio, rispetto all’inziale durezza mostrata dal presidente statunitense Donald Trump nei confronti della Repubblica Popolare.

Ma non è solo nella dimensione economica che Trump sembra mostrarsi accondiscendente verso Pechino. L’amministrazione Usa avrebbe infatti impedito al leader taiwanese Lai Ching-te di fare scalo negli Usa in occasione del suo tour diplomatico in America Latina. Pur non riconoscendo ufficialmente Taiwan, e quindi non potendo legalmente ospitare una “visita ufficiale” da parte di un suo leader, dal 1994 Washington ha impiegato l’escamotage delle “visite di transito” per permettere de facto ai vertici di Taipei di recarsi in vista (seppure non ufficialmente) negli Stati Uniti.

Dietro a queste mosse ci sarebbe l’intenzione di Trump di ammorbidire Zhongnanhai per arrivare ad un incontro bilaterale con il presidente cinese Xi Jinping, magari in occasione di una sua visita ufficiale in Cina. L’ipotesi di un possibile vertice tra due leader è stata teorizzata anche da Graham Allison, ex-assistente del segretario degli Difesa degli Stati Uniti per la politica e la pianificazioneprofessor of Government presso la Harvard Kennedy School e autore del blasonato volume “Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap”, che in un articolo su Foreign Policy prevede che “in quello che si potrebbe definire un ‘grande riequilibrio’, quando Trump e Xi finalmente si incontreranno, annunceranno progressi non solo sul commercio ma anche su altre questioni, tra cui importanti investimenti nell’energia e nella produzione manifatturiera, una severa repressione cinese delle esportazioni di precursori del fentanyl, una risoluzione della controversia su TikTok e promesse di acquisti cinesi di più prodotti statunitensi per ridurre il deficit commerciale bilaterale. I due leader discuteranno anche apertamente in privato su come collaborare per limitare le provocazioni dell’attuale governo di Taiwan”. Aggiungendo poi che “se allarghiamo i nostri orizzonti, è persino possibile immaginare che questo vertice annuncerà la nascita di una nuova relazione, forse addirittura una ‘partnership’, tra le due nazioni”.

Lo scenario descritto da Allison segnerebbe una svolta epocale nelle relazioni tra Pechino e Washington, che con il passare del tempo sono divenute sempre più tese. D’altronde, dati alla mano, Trump non è affatto definibile un “falco” nel suo approccio alla Cina, così come non lo sono alcuni dei principali esponenti della sua amministrazione (tra cui spicca il segretario di Stato Marco Rubio, che proprio sulla questione cinese sembra aver cambiato diametralmente posizione). Per dirlo con le parole di Allison, “sebbene il principale disruptor di Washington ami sorprendere il suo pubblico e sia orgoglioso della sua imprevedibilità, in questo caso anche i suoi critici più accaniti dovrebbero considerare la possibilità che egli sorprenda il mondo”.

Trump vuole un riavvicinamento con la Cina. Ecco alcuni possibili segnali

La moratoria sulle tariffe, il divieto di scalo al leader taiwanese e le previsioni di un possibile vertice Trump-Xi: tutto sembra indicare che i rapporti tra Stati Uniti e Cina stiano entrando in una fase di dialogo più costruttivo. Un cambio di tono significativo per un presidente spesso considerato ostile verso Pechino

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