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La Commissione Esteri della Camera approva la risoluzione firmata dal vicepresidente, Paolo Formentini (e sostenuta dal resto della maggioranza), che sottolinea l’importanza dello sviluppo del corridoio infrastrutturale India-Medio Oriente-Europa (Imec) e include anche la richiesta di creazione di un inviato speciale per seguire le sue dinamiche. L’Italia — che a settembre scorso, durante il G20 indiano, ha siglato il documento di creazione del progetto geostrategico — resta parte delle evoluzioni di Imec. Le quali, nonostante l’inciampo tattico prodotto dalla guerra nella Striscia di Gaza scatenata da Hamas, continuano a muoversi.

Se è vero infatti che il corridoio ruota anche attorno alla complessa scommessa sulla normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita (perché dopo la penisola Araba le merci fluiranno nel Mediterraneo tramite gli sbocchi israeliani), è altrettanto vero che una serie di desideri strategici continuano a essere agganciati al progetto di interconnessione indo-mediterranea (nonostante la normalizzazione israelo-saudita resti complicata proprio dalla crisi umanitaria prodotta con la guerra e dalla violenta reazione israeliana all’attacco subito da Hamas il 7 ottobre).

Per l’Arabia Saudita, un progetto come Imec è un modo per sostenere l’obiettivo di lungo termine di diventare un hub di connettività internazionale, rafforzando anche quella che viene definita “diplomazia economica” — vettore che sta permettendo a Riad di giocare sui tavoli più importanti a livello globale. Per tale ragione, il regno difficilmente abbandonerà l’interesse al progetto, seppure costretto a tenere una postura severa nei confronti di Israele, che per i musulmani è colpevole di aver martoriato i “fratelli palestinesi” per anni e anni — postura ancora più inevitabile se si pensa che i sauditi sono i protettori dei luoghi sacri dell’Islam, dunque hanno ruolo prominente nel mondo religioso islamico.

Ma è necessità tattica, anche legata al mantenimento degli equilibri interni: il corso del potere incarnato dall’erede al trono Mohammed bin Salman è già protagonista di cambiamenti socio-culturali e non intende stressare dossier delicati come quello palestinese, anche perché il consenso interno è abbastanza concorde su una posizione anti-israeliana. Tuttavia, è quello stesso consenso che valuta la necessità per il regno di procedere alla sua emancipazione, al suo sviluppo come realtà globale (imperativo di obiettivi enormi come la Vision 2030 di bin Salman). E Imec rientra in questo schema, da affrontare con pragmatismo.

In Israele poi la percezione del valore del corridoio è totalmente allineata con i desideri strategici (simili e complementari a quelli sauditi) di trasformare il Paese in un fulcro dei collegamenti mediterranei. Lo stato ebraico è consapevole di essere posizionato a livello geostrategico al centro del Mediterraneo allargato, che si estende fino al Golfo, e poter essere uno sbocco per alternative geoeconomiche a Suez. Per altro, mentre emergono anche i primi progetti per inglobare la Striscia di Gaza nel corridoio (nella fase di day-after), Israele solleva un problema di sicurezza che potrebbe essere effettivamente determinante.

In una conversazione di background tenuta da un ufficiale israeliano è stato delineato recentemente come su Imec gravino problemi simili a quello del corridoio del Mar Rosso. Attori statali e soprattutto non-statali che potrebbero creare destabilizzazione come sta avvenendo nell’asse Suez-Bab el Mandeb. E tra l’altro, potrebbero essere gli Houthi stessi, perché la milizia yemenita potrebbe voler mostrare i muscoli in futuro su altre connessioni con la consapevolezza che possono disarticolarle e creare una leva di ricatto nella geoeconomia globale. Dunque emerge che il primo dei problemi per Israele è la sicurezza, che deve essere garantita al pari delle evoluzioni infrastrutturali e geopolitiche del progetto. È anche un tema di carattere politico interno — Israele dice che sta combattendo Hamas anche per proteggere la stabilità regionale — che chiaramente rafforza l’interesse israeliano su Imec.

Al pari di questo, c’è un altro problema che si sta consolidando: ci sono attori regionali non firmatari che stanno presentando ostacoli. Su tutti la Turchia, che ha già espresso la sua opposizione a Imec perché non coinvolta. Ankara ha anche intrapreso un’azione concreta per farsi portatrice di un’alternativa, con l’Iraq Development Road (in cui sono inclusi anche gli Emriati Arabi Uniti, firmatari di Imec). Su questo, il ruolo dell’Unione Europea e dei firmatari europei potrebbe essere importante, perché potrebbero giocare un ruolo diplomatico per far essere Imec flessibile a estensioni puntuali del corridoio centrale, per esempio per collegare anche l’Oman, allungarsi fino a inglobare la Turchia con un asse settentrionale o addirittura (se le condizioni di sicurezza lo permetteranno) anche il Sudan con un ponte marittimo.

È anche in questi movimenti per la ricerca di un equilibrio diplomatico che il ruolo degli inviati speciali europei può essere utile: non solo per tutelare gli interessi unilaterali ma per proteggere l’intero progetto, dunque. La Francia se è già dotata giocando (come spesso accade) di anticipo, l’Italia dovrebbe farlo a breve, la Germania (l’altra delle tre co-firmatarie) sembra leggermente meno attenta. “Emerge che esiste un rischio di sosituibilità tra la politica di sicurezza economica e l’apertura commerciale: la questione è come garantire la sicurezza economica senza mettere in discussione il sistema multilaterale”, ha detto oggi Carlo Altomonte, professore della Bocconi e vice presidente dell’Ispi durante un panel della riunione del T7 che si è svolta questi due giorni a Roma.

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