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Meno di ventiquattro ore. Tanto è durata la mini tregua imposta dalle parole, sagge, di Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica era intervenuto ben due volte sulla questione Mps: per riaffermare il principio dell’interesse nazionale e per auspicare un non-cortocircuito fra giustizia e informazione. Un intervento a gamba tesa? No, tutt’altro. Occorre infatti ricordare che l’eccitazione elettorale stava (sta) rischiando di compromettere la terza banca del Paese trascinando con essa le nostre istituzioni ed i suoi rappresentanti. L’andamento del titolo in Borsa in relazione alle notizie di stampa filtrate dagli ambienti giudiziari senesi sono stata un’altra tegola non da poco. Il giorno in cui il Capo dello Stato ha preso la parola alcuni giornali titolavano di un sequestro preventivo da un miliardo di euro e di roboanti accuse di associazione a delinquere.

Lo scandalo Mps ha avuto l’innegabile merito di far emergere un dato incontestabile: l’artificio dei conti della banca per coprire le perdite cospicue. In un solo calderone sono finite le responsabilità dei singoli manager, della banca, della fondazione azionista, del Comune, dei partiti, della Banca d’Italia, del ministero del Tesoro, dell’attuale numero uno (italiano) della Bce. Nel tutti contro tutti sono finiti in secondo piano gli interessi dei risparmiatori che, oltre il danno operato dal vecchio management, rischiano di essere vittime degli speculatori che approfittano degli effetti collaterali della campagna elettorale. Che siano all’opera manine internazionali per subentrare alla guida della più antica banca italiana non è un mistero. Che ci sia chi, in Europa (e in Germania), non aspetta altro che azzoppare Draghi è altrettanto evidente. Frenare gli eccessi verbali tenendo conto che il nostro spettacolino è guardato con disgusto e interesse speculativo all’estero non significa “censurare” l’azione dei pm o limitare il dibattito politico. È evidente che le responsabilità penali e politiche vanno individuate e severamente giudicate, senza sconti nè per chi era guida delle cose di Siena nè chi era sulla plancia di comando a Roma. Nessuno degli attori della polemica uscirà indenne ma la preoccupazione di Napolitano non è per le sorti di Bersani o di Monti, di Tremonti o di Draghi.

Il presidente della Repubblica guarda all’interesse nazionale. Il concetto non deve piacere troppo al candidato leghista Roberto Maroni (speriamo sia più apprezzato dall’omonimo ex ministro dell’Interno che aveva giurato sulla Costituzione) che infatti ha insinuato in modo esplicito che l’intervento del Colle sia dettato dalla volontà di coprire il Pd. Francamente l’accusa appare indegna. Non solo per le ragioni su dette ma perchè a pronunciarle è un partito che è stato protagonista di un crac bancario come Credieuronord e che aveva un amico speciale, presente alla mitica cena degli ossi, quale Ponzellini che da presidente della Bpm non ha particolarmente brillato. Su come sia arrivato al vertice di piazza Meda e come abbia gestito l’istituto si può discutere e d’altra parte anche in questo caso si sono registrate inchieste della magistratura. Se un banchiere fa male è colpa del suo sponsor politico? Il tema potrebbe essere scivoloso ben oltre i confini di Siena. Quanto alla relazione fra politica e banche, vale la pena di ricordare il ruolo dei seguaci di Alberto da Giussano in Veneto con le locali fondazioni bancarie? Stendiamo un velo pietoso. Segnaliamo però che ieri, non un secolo fa, il presidente leghista Zaia ha auspicato una cordata per comprare Antonveneta da Mps: un chiarissimo esempio di disinteresse della politica dalle vicende bancarie. Maroni può fare la campagna elettorale che crede ed anche attaccare Napolitano, ci mancherebbe. La macchina del fango però sporca tutti, anche chi la attiva. Il presidente della Repubblica ha ammonito che a restare sotto la melma, alla fine, è il Paese, i cittadini, i risparmiatori. Quelli che stanno subendo una delle peggiori campagne elettorali della storia italiana.

Paolo Messa è fondatore della rivista Formiche

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