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Kyriakos Mitsotakis e Recep Tayyip Erdogan hanno firmato la Dichiarazione di Atene sull’amicizia e le relazioni di buon vicinato tra Grecia e Turchia. Un accordo storico, perché giunge dopo anni di scontri, provocazioni e di numerosi tentativi di moral suasion da parte di Usa e di Ue, che ovviamente non cancella tout court i dossier più critici ma li congela, almeno in questa fase in cui è necessario che nel Mediterraneo orientale vengano disinnescate nuove possibili crisi. Tanto Bruxelles quanto Washington, in un anno pre elettorale per entrambi, non possono permettersi che oltre a Kiyv e Gaza vi sia un altro fronte incontrollato, sia per gli interessi strategici della Nato, sia per gli equilibri euromediterranei, già alle prese con stravolgimenti epocali.

Accordo

Cosa c’è scritto nella dichiarazione di amicizia tra Atene e Ankara? In primis un canale sempre aperto tra i vertici, sul modello del telefono rosso tra Reagan e Gorbaciov, e non si tratta di un parallelo azzardato viste le passate occasioni in cui lo scontro militare nell’Egeo sembrava ad un passo. Obiettivo del canale è mettere l’accento sulla volontà comune di evitare situazioni di conflitto e di una potenziale escalation.

In secondo luogo la Dichiarazione definisce i principi e le tappe fondamentali del dialogo greco-turco sulla base dei tre assi concordati durante il bilaterale dello scorso luglio a Vilnius: dialogo politico (su questioni di reciproco interesse, in cui sono inclusi contatti esplorativi), un’agenda positiva (che sarà costantemente arricchita), misure di rafforzamento della fiducia (comprese misure volte a ridurre “fonti di tensione ingiustificate, nonché i rischi che ne derivano”).

In parallelo, Erdogan si impegna a raggiungere gli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite e i principi del diritto internazionale e della cooperazione amichevole tra gli Stati. In sostanza i due governi hanno messo nero su bianco la volontà di anestetizzare possibili conflitti e di trovare sempre e comunque una via di uscita diplomatica agli inciampi che potranno presentarsi dinanzi ad entrambi. E non sono pochi.

Nodi

Si pensi alla atavica questione di Cipro, occupata a 50mila militari turchi, per metà stato membro dell’Ue e per metà sede di una repubblica autoproclamata e riconosciuta solo da Ankara. In questa fase bellica, peraltro, l’isola che diede i natali alla poetessa Saffo è diventata una vera e propria portaerei naturale per i caccia e i velivoli di osservazione di Usa e Uk, con direzione Gaza. Inoltre sin dai primissimi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina si è tornato a parlare di un’ingresso cipriota nella Nato, come fattore di stabilità per un fazzoletto di Mediterraneo dove gli interessi geopolitici coincidono con le nuove scoperte di gas proprio nelle acque cipriote e israeliane. La Libia e la zee che la connette alla Turchia è un altro dossier caldo, accanto al tema irrisolto del gasdotto Eastmed su cui Netanyahu, prima del folle attacco di Hamas di due mesi fa, aveva chiesto una decisione definitiva.

Pragmatismo

Parola d’ordine pragmatismo: ovvero sarebbe stato estremamente pericoloso, visto ciò che sta accadendo “vicino” ai due Paesi proseguire in una costante contrapposizione praticamente su tutti i dossier, senza comprendere che l’attuale momento geopolitico impone responsabilità, presa di coscienza di quali scenari potrebbero aprirsi e, conseguentemente, un passo indietro da parte di entrambi per farne due in avanti.

Chi vince e chi perde dal nuovo accordo tra Grecia e Turchia

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