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È un peccato che il sistema scolastico italiano non consenta a un capo di istituto di assumere un intellettuale dalle comprovate capacità. Come il lettore ricorderà il tentativo di “scegliersi” i docenti, dopo un timido approccio istituzionale, sotto il governo Renzi, fu bocciato dai sindacati. Si parlò di “preside-sceriffo”, alludendo all’inevitabile, nefasto, fascista, strapotere di un preside che avrebbe creato un istituto a sua somiglianza, favorendo i propri amici. Ma coloro che coniarono tale costrutto non conoscevano il capolavoro di Fred Zinnemann, High Noon (Mezzogiorno di fuoco, 1950).

Bastava, ai legislatori di allora, demandare la scelta del docente nuovo, da scegliere, al Dipartimento (lettere, matematica, scienze, ecc.), come in Usa, e tenerlo in tenure-track (in prova) per un triennio. Poi sarebbe stato confermato o rimesso a disposizione del ministero (ossia dell’Ufficio Regionale Scolastico) perché non adatto per quel tipo di indirizzo/istituto. Dubito che i sindacati della scuola avrebbero accettato una scelta basata sulle competenze, pur provenendo “dal basso”. L’avrebbero liquidata come “meritocrazia antidemocratica”.

Se potessi, torniamo al tema, scegliere un docente, sto sognando ovviamente, offrirei un contratto ad Antonio Polito. Per insegnare Lingua italiana e Storia comparata ai 2200 allievi del polo liceale che dirigo, alla estrema periferia nord-est di Roma, dove Pier Paolo Pasolini ambientò l’incipit del necessario, per la storia del cinema, Mamma Roma (1962), a Guidonia.

I nostri studenti verrebbero così introdotti da Polito all’affascinante mondo della semantica. Senza citare il Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure (mirabilmente studiato da Tullio de Mauro) o i Saggi di linguistica generale di Roman Jakobson, Polito, son convinto, farebbe capire agli studenti delle superiori il legame tra una significante e un significato, tra una azione e la esatta descrizione linguistica, pragmatica, della stessa.

Infatti, Polito nel suo pezzo-saggio Equivoci etici a sinistra (Corriere della Sera, 2 giugno 2023), con la consueta chiarezza espositiva, nota come la nostra Costituzione “ripudi” la guerra. E che il verbo «“ripudiare” non significa “astenersi”; ma “respingere”, “rifiutare”».  Tale intervento linguistico di Polito è relativo a come europarlamentari e parlamentari del nuovo Pd, a direzione Elly Schlein, abbiano letto e votato il sostegno militare europeo a favore dell’aggredita Ucraina. In Italia contro le armi da inviare, in Europa a favore. Una doppia lettura “etica”.

All’analisi linguistica segue, nel paragrafo successivo, un’osservazione di Storia Comparata, relativa alla legittimità dell’Ucraina nel rispondere con le armi a un altro Paese aggressore. E come, da mesi, tale posizione venga letta politicamente a sinistra.

«C’è invece una parte cospicua degli elettori delle primarie di Schlein che, subito dopo aver ribadito la legittimità dell’attentato di via Rasella a Roma sulla base del diritto alla difesa contro l’invasore tedesco (sentenza della Cassazione del 1957), vorrebbero chissà perché negare o impedire l’esercizio di quello stesso diritto agli ucraini che si battono contro l’invasore russo».

Ovviamene Antonio Polito, che è un astuto diplomatico, parla di «elettori», tra i quali, possiamo azzardare, include, anche intellettuali, artisti, insomma, eccellenti “quadri” progressisti, che non riescono a vedere come davanti a fatti oggettivi, che reclamano una corretta traduzione semantica, le ideologie “a priori”, falsamente kantiane, non funzionano.

Ho il sospetto che Polito abbia una legittima, inconscia, simpatia per la Schlein e, da saggio padre, intenda consigliarla, aiutarla, come farebbe un buon insegnante quando vede che il primo della classe ha la stoffa ma difetta ancora d’esperienza e pecca nel sostenere “so tutto”. Inoltre, dal pezzo, pare trapeli un sincero dispiacere di Polito che la sinistra sia «divisiva» e, aggiungiamo noi, troppo “sinistra” (cupa, angosciante) e poco autenticamente di sinistra, ossia proiettata dentro il sole (dell’avvenire?).

Consigli sinceri, quelli di Polito, affinché la brillante e giovane segretaria del Pd, Elly Schlein, non si ingolfi «negli arzigogoli lessicali cui è sempre più spesso costretta (…) per conciliare le sue posizioni da militante di un tempo con i doveri della segretaria di oggi (…)».

Penso, da modesto ex insegnate di italiano, che i politici debbano esser chiari nell’esporre i concetti, evitando l’ipotassi, i lunghi incisi, ma ricorrere a espressioni riassuntive e chiare del concetto politico trasmesso per l’ascoltatore, come ben sa l’astuto Matteo Renzi, magari con simpatiche battute ed educati motti di spirito, e proverbi, come usa l’insuperabile Pier Luigi Bersani.

Per adesso nella “lotta” di immagine ingaggiata dal Pd, sul modello del film di Joseph Mankiewicz, Eva contro Eva (Pietro Senaldi, L’incerta linea rossa, Libero, 2 giugno 2023. pag. 3), Elly Schlein versus Giorgia Meloni, la nuova stella del Pd appare poco brillante. Il periodare saggistico di Schlein, da filosofa della politica, pur avvolto in un piacevole tono musicale, perde ai punti di fronte alle sintetiche, pragmatiche frasi, da pizzicagnola, di Meloni. Litterae non dant panem.

Soprattutto, a mio avviso, non ha funzionato la politica denigratoria, da campagna elettorale, mai sospesa, da parte delle opposizioni, capeggiata da Schlein. Ossia, l’attacco quotidiano, martellante, volto solo a sottolineare la “incapacità”, le “non competenze”, il “non mantenere le promesse”, di un “governo inadatto”, stanca il destinatario.

I politici, quando sono all’opposizione, di qualunque colore siano, dovrebbero rispettare quegli elettori che non li hanno votati, se vogliono “prenderseli” al prossimo giro. Come puoi convincere un elettore a votare per te se fino a ieri gli hai dato, indirettamente, del cretino, offendendo il governo da lui/lei votato e legittimamente eletto? Io farei un elogio al governo in carica e due (serie) critiche. E niente slogan offensivi.

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