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Certamente l’attuale situazione economica francese non appare tra le più tranquille. Da una parte, una crescita ancora asfittica, ancorché non lontana dai dati delle principali economie europee. Dall’altra, un debito sovrano che ha superato i 3350 mld e che punta a raggiungere il 125% del Pil e un deficit che ha raggiunto nel 2024 il 5,8%, uno dei dati peggiori in Europa.

Tuttavia, se è vero che ci troviamo in presenza di variabili economiche da riportare al più presto su traiettorie sostenibili, è anche vero che non abbiamo di fronte una economia sull’orlo del baratro.

La Francia ha comunque una economia solida e diversificata caratterizzata da un Made in France ovunque conosciuto, da un costo energetico contenuto anche grazie al nucleare, nonché da una industria della difesa all’avanguardia. Ciò premesso, in Francia un reale pericolo esiste ed è quello che il Paese rimanga vittima della sindrome del “panico allo stadio”.

In altre parole, il vero rischio è che i mercati e gli investitori si convincano della impossibilità o dell’incapacità della politica di fronteggiare il deterioramento della situazione economica innescando così una crisi di sfiducia generalizzata.

In questi casi il fattore “S”, ossia il sentimento dei mercati, inteso come le paure, le ansie, le elucubrazioni dei mercati, tende a prendere il sopravvento anche sui dati economici reali generando così una spirale non facilmente controllabile ed in grado di autoalimentarsi.

E’ quello che è successo in Italia nel novembre del 2011 con spread a 575 bp e rendimento dei Btp decennali oltre il 7%. Ed è quello che potrebbe succedere domani in Francia, qualora non si riuscisse in tempi breve a trovare una maggioranza capace di gestire la situazione economica del Paese.

Anche perché ci sono almeno tre fattori perfettamente in grado di rendere più aggressiva la crisi francese. Il primo fattore è connesso al fatto che il debito pubblico francese è detenuto per oltre il 53% da investitori esteri (con forte presenza di fondi speculativi), solitamente meno “pazienti” e più “volubili” rispetto agli investitori interni.

In Italia, a titolo di confronto, la percentuale estera si aggira intorno al 30%. Il che vuol dire, banalmente, che in presenza di gravi tensioni sui mercati il debito francese è più esposto a vendite massive ed attacchi speculativi.

Il secondo fattore è che i movimenti di piazza francesi quali i gilet gialli e i “blocchiamo tutto” hanno nel loro Dna una sorte di “spirito della Bastiglia” che li rende molto più aggressivi rispetto, ad esempio, ai movimenti di piazza italiani.

E questo è un problema serio perché questi gruppi renderanno complicatissimo qualsiasi confronto politico su temi quali spesa sociale, sanità e welfare, da molti considerati le vere concause dello straripante debito pubblico.

Il terzo fattore è che la crisi bancaria della Silycon Valley del 2023 ha evidenziato in tutta chiarezza come la connessione di massa sul web ed il fenomeno dei social siano perfettamente in grado di aumentare in maniera esponenziale la velocità di propagazione e l’ampiezza delle crisi e, quindi, di rendere ancora più pericoloso il fattore “S” in presenza di una crisi di sfiducia generalizzata.

Per fortuna in questo scenario non rassicurante esistono due soggetti che, all’occorrenza, possono rivelarsi determinanti nel frenare il fattore “S” ed impedire che le tensioni sui mercati possano spingere lo spread e i tassi sui titoli francesi verso limiti non sostenibili.

Il primo è la Bce, unica vera macchina da guerra in grado di intervenire prontamente nelle emergenze grazie all’impostazione draghiana. Da una parte, iniettando abbondante liquidità nel sistema bancario francese con linee di credito a medio termine (Ltro) così da consentire agli istituti di far fronte alle loro scadenze senza il minimo affanno e sostenere il tessuto produttivo.

Dall’altra acquistando, sempre secondo l’impostazione draghiana, i titoli di stato sotto pressione sul mercato secondario (modello Qe) in modo da calmierare i tassi e scoraggiare le inevitabili incursioni speculative.

Il secondo soggetto che potrebbe rivelarsi prezioso in caso di crisi di sfiducia sul debito pubblico è proprio il sistema bancario francese che verrebbe chiamato, come accadde in Italia nel 2011, a compensare le massicce vendite di titoli con imponenti acquisti.

Da non trascurare, a questo proposito, il fatto che le banche francesi sarebbero ampiamente in grado di fare la loro parte a sostegno del debito pubblico considerando che attualmente hanno in pancia una quantità piuttosto limitata di titoli domestici.

Dunque, nessun panico allo stadio, ma situazione da seguire con attenzione anche perché la Francia è il terzo mercato di sbocco per il nostro export e perchè una Ue con una Francia debole, rischia di essere ancora più esposta alle intemperanze di Trump e del suo inseparabile SuperEgo.

I tre fattori che possono far avvitare la situazione francese. L'analisi di Ferretti

L’attuale situazione economica francese non è perfettamente stabile. Ci sono tre fattori in grado di rendere aggressiva questa crisi: il primo è collegato al fatto che il debito francese è detenuto per il 53% da investitori esteri meno “pazienti” degli investitori interni; il secondo è che i movimenti di piazza francesi sono molto aggressivi e rendono limitato il confronto politico e, il terzo, è inerente al fenomeno dei social, in grado di aumentare esponenzialmente la velocità di propagazione delle crisi. Due soggetti sono fondamentali per limitare la tensione sui mercati: la Bce e il sistema bancario

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