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Anteprima del numero di luglio 2012
 
Impossibile stabilire con esattezza quando tutto è cominciato. Impossibile fissare la data, il giorno e l’ora in cui Twitter ha fatto la sua apparizione nella politica italiana. Eppure, se proprio dovessimo metterci alla ricerca di quest’ora X, se fosse davvero necessario stabilire il momento della scintilla, allora non rimane che una strada. Affidarsi a una ricerca convenzionale sulla più istituzionale delle rassegne stampa. Quella della Camera dei deputati.
 
Ed eccola lì, la data. 15 maggio 2007. Esattamente cinque anni fa, proprio mentre in Italia – come oggi – andava in scena una tornata di elezioni amministrative. Quel giorno, stando alla rassegna stampa di Montecitorio, va in pagina il primo articolo di politica interna che cita Twitter. Un pezzullo del Sole 24 Ore in cui implicitamente si assegna al neoeletto sindaco di Palermo Diego Cammarata, che aveva battuto (altra coincidenza) Leoluca Orlando, la palma del primo uomo politico a fare qualcosa di significativo usando il cinguettio. In quel caso, annunciare la vittoria alle elezioni comunali del capoluogo siciliano. Nell’articolo a pagina 14 del Sole 24 Ore si legge: Il commento arriva alle 19,25, quando la vittoria appare ormai sicura. “I palermitani hanno premiato un governo della città che ha portato risultati senza troppe chiacchiere”. Firmato, Diego Cammarata, sindaco riconfermato di Palermo che ringrazia così i suoi elettori direttamente dal suo sito tramite Twitter. E, per spiegare che cosa fosse quello strumento dal nome strano, l’articolista descrive la piattaforma come “una tecnologia con la quale si possono postare i propri messaggi via web o sms e trasmetterli agli iscritti col telefonino”.
 
Ma se il dimenticato Cammarata si aggiudica la mini-palma del pioniere, è forse Dario Franceschini il politico italiano che ha cominciato prima degli altri a sostituire il classico comunicato stampa col cinguettio sulla rete. Peccato che il capogruppo del Pd a Montecitorio si sia rivelato (dal punto di vista di Twitter, s’intende) una meteora. E che abbia lasciato ad altri – da Matteo Renzi a Pier Luigi Bersani, da Pier Ferdinando Casini ad Angelino Alfano fino ai deputati narratori dei lavori d’Aula (Roberto Rao e Andrea Sarubbi su tutti) – il compito di trasformare questo strano social network in uno dei pilastri mediatici del Palazzo.
 
Per un leader, è fondamentale avere Twitter? O se ne può fare a meno? Silvio Berlusconi non ce l’ha. Tutti gli altri sì. Sia chiaro, alcuni profili vengono gestiti dagli staff dei leader. Ma è solo quando il capo in persona è l’unico titolare della sua password che possono materializzarsi sullo schermo di un computer frammenti di Palazzo da consegnare a una piccola storia del giornalismo contemporaneo. Come nel caso della foto a quattro Monti-Alfano-Bersani-Casini che quest’ultimo mandò su Twitter in pasto a una stampa che non vedeva l’ora di conoscere i dettagli di quel vertice di Palazzo Chigi. Da allora sono passati cinque mesi. Quello di cui i quattro parlarono quella sera è finito nell’oblio. La foto no, è rimasta. E rimarrà.

Twitter e la politica italiana

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