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La ripresa economica italiana non può prescindere dallo sviluppo del Mezzogiorno. Tale condizione può verificarsi solo rigenerando il tessuto sociale.
Negli ultimi anni, di Mezzogiorno si è parlato poco e negli sporadici momenti di discussione l’attenzione degli analisti si è soffermata principalmente (se non esclusivamente) sulle sacche di inefficienza della pubblica amministrazione meridionale e sulle conseguenti ripercussioni negative in termini di maggiori costi e perdita di competitività.
 
Le ragioni di tale “scomparsa” sono molteplici: da un dibattito politico ormai imperniato sulla “questione settentrionale” e sul declino economico del Nord, alla acritica accettazione di antiquate teorie economiche per cui l’intervento dello Stato è ridondante in un sistema in cui c’è libera mobilità degli individui e, dunque, del lavoro. In tali condizioni, infatti, le migrazioni favorirebbero la convergenza tra le economie regionali attraverso un meccanismo tanto semplice, quanto irrealistico: se l’indicatore di sviluppo di interesse è il rapporto tra prodotto e popolazione, allora, in caso di disparità sarà sufficiente “spostare” parte della popolazione, anziché stimolare la crescita, per riequilibrare la situazione.
 
Così, mentre in Europa si è continuato a dibattere circa la valenza e gli indirizzi della politica di coesione, l’Italia ha completamente abbandonato la discussione circa l’ormai vecchia e trapassata “questione meridionale”. Carlo Trigilia interviene ora con il suo “Non c’è Nord senza Sud. Perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno” (il Mulino, €10), un libello che torna giustamente a ricordarci come una metà del nostro Paese rimanga in una situazione di perdurante arretratezza.
 
Il libro, in uno stile rigoroso ma scorrevole, ripercorre i principali risultati cui la recente ricerca sociale ed economica è pervenuta e propone la tesi per cui la ripresa economica italiana non può prescindere dallo sviluppo del Mezzogiorno. Tale condizione può verificarsi solo rigenerando il tessuto sociale del Sud, incrementando la dotazione di ciò che viene comunemente chiamato “capitale sociale”, ovvero quell’insieme di relazioni interpersonali fiduciarie che garantiscono un più efficiente funzionamento dell’economia e delle istituzioni che la governano.
 
La presentazione di tale tesi è interessante e presenta alcuni spunti di riflessione, soprattutto politica. Innanzitutto, Trigilia argomenta come la crescita del Sud sia d’estrema importanza per il Nord, non solo o forse non più perché rappresenta un importante mercato di sbocco per le produzioni settentrionali, ma soprattutto perché un aumento della capacità di autofinanziamento della spesa pubblica meridionale potrebbe utilmente finanziare una riduzione della pressione fiscale (grazie ad una contrazione significativa dei trasferimenti fiscali a fini redistributivi) di cui beneficerebbero soprattutto le imprese del Nord.
 
L’emergere della questione meridionale alla fine dell’Ottocento ha portato con sé una lunga serie di tentativi, forse paternalistici, di riequilibrare la geografia dello sviluppo italiano. Decenni di interventi di politica economica di varia natura sembrerebbero aver sortito risultati modesti e Trigilia ritiene che una delle principali cause di tale fallimento sia da ricercarsi nel cattivo funzionamento delle istituzioni e nella persistenza di una classe politica che ha utilizzato la spesa pubblica a fini elettorali e clientelari. Se tale è la ragione principale, allora è necessario rimuovere tale fonte di enormi inefficienze e per farlo occorre aumentare il senso civico dei cittadini meridionali in modo da eleggere politici migliori, scevri da tentazioni clientelari. L’incremento del capitale sociale passerebbe attraverso un aumento dell’istruzione e della formazione che garantirebbero delle condizioni di occupabilità superiori e tali da non rendere necessario il ricorso all’intermediazione della politica sul mercato del lavoro.
 
L’analisi di Trigilia è sin qui chiara e condivisibile, benché non contempli un punto importante e relativo alla struttura economica del Mezzogiorno. L’incremento dell’istruzione potrebbe, infatti, non necessariamente comportare un radicale aumento dell’occupabilità dei lavoratori, se non stimolando la domanda di professionalità e garantendo un effettivo incontro tra qualità richieste dalle imprese e quelle offerte dalla forza lavoro. Questo implica, ancora una volta, la necessità di una politica industriale, ma questa volta attenta ai settori ed alle funzioni più innovativi e strategici, settori probabilmente altri rispetto a quelli turistici e culturali proposti nel volume.
Il volume di Trigilia è importante per due ordini di ragioni. Innanzitutto, riporta sulla scienza il Mezzogiorno, i suoi secolari problemi e la necessità di ridiscutere i principi di una nuova politica di sviluppo. In secondo luogo, contribuisce a tale rimodulazione proponendo una visione strategica basata sull’economia immateriale e delle istituzioni. Alcune basi sono state gettate, ora c’è da sperare che la discussione continui o, meglio, riprenda.
 
Marco Percoco
Department of Public Policy and Management
Università Bocconi

A proposito di “Non c’è Nord senza Sud" di Carlo Trigilia

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