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L´ampio dibattito successivo alla decisione della magistratura di chiudere gli impianti dell´Ilva di Taranto sono privi, tranne alcune eccezioni, di alcune considerazioni la cui valenza va ben al di la della vicenda dell´acciaieria pugliese , ma rientrano nel più ampio tema delle motivazioni alla base della progressiva desertificazione industriale che ampie e sempre più estese aree del Paese stanno vivendo in questi anni.

Il primo tema è quello relativo alla certezza del quadro normativo e regolamentare come leva per attirare investitori. Agli occhi di un investitore internazionale la vicenda dell´Ilva è francamente incomprensibile. Come è possibile che un´infrastruttura industriale di importanza primaria operi per decenni in assoluto dispregio di ogni normativa in materia ambientale e di tutela della salute dei lavoratori senza che avvenga nulla fino al momento in cui un magistrato (il punto non è se a ragione o a torto), decida di chiudere l´impianto stesso? In un Paese moderno si è in grado di comprendere che un´azienda che non rispetta una normativa senza essere sanzionata da un organo di controllo indipendente gode di un sussidio distorsivo della concorrenza a discapito dei competitors che invece rispettano le suddette normative.

Certo si potrà obiettare che il rispetto della normativa determina una perdita di competitività ma a questo punto, in un Paese moderno, ci si dovrebbe interrogare sui motivi per cui l´Ilva di Taranto (e non solo l´Ilva di Taranto) per essere competitiva deve essere irregolare. Colpa del mercato, dell´azienda, del suo management, delle norme, delle condizioni esogene (costo dell´energia più alto al mondo, carico fiscale e burocratico, impatto dei costi della corruzione sull´azienda) o di cos´altro?

In un Paese moderno non si tengono in vita le aziende se sono decotte e se invece non lo sono e ciononostante non riescono a essere competitive se non nell´illegalità si cercano di comprendere i motivi e le aree di possibile intervento.

Gli interventi ex post (tipo chiusura dell´impianto nel giro di pochi mesi dimenticando che una chiusura anche parziale di un impianto energivoro ne decreta la fine a causa degli elevatissimi costi di revamping) non fanno altro che aumentare l´incertezza degli investitori. Chi investirebbe in un Paese in cui le aziende possono non rispettare le normative per anni e poi essere chiuse improvvisamente? Chi alloca capitali su base globale, ha bisogno di certezza di norme, certezza che le norme siano rispettate e certezza delle sanzioni. Tutti elementi che mancano nel nostro Paese.

Il secondo tema è relativo all´impatto sulle altre aziende del sistema produttivo di una decisione di chiudere un anello fondamentale della supply chain di interi comparti quale il più grande stabilimento siderurgico d´Europa. L´Ilva copre circa il 40/45% del fabbisogno di acciaio da parte dell´industria trasformatrice Italiana. Certo si può obiettare che il continente europeo ha oggi una situazione di sovra capacità produttiva pari a circa 50 milioni di tonnellate. Ma chi ha un minimo di esperienza di azienda sa bene che cambiare un fornitore primario non è come cambiarsi d´abito.

Approvvigionarsi all´estero vuole dire extra costi di logistica, extra costi finanziari e allungamento della supply chain. E in un momento in cui la domanda in Europa è debole ogni costo addizionale uccide il conto economico del´industria manifatturiera. Soprattutto in contesti energivori quali l´industria meccanica, già appesantita dall´elevatissimo costo dell´energia che serve a finanziarie folli politiche di incentivazione delle fonti rinnovabili che nel migliore dei casi erano figlie di ignoranza in materia industriale e nel peggiore di trasferimento di ricchezza da produttori a soggetti portatori di rendite di posizione ben rappresentate a livello politico.

Certo se, in un contesto a sovra capacità produttiva un produttore è inefficiente, questo deve essere chiuso. Sono i lavoratori a dovere essere tutelati, non le imprese inefficienti, spesso per colpe di un management che è il primo beneficiario dei sussidi stessi. Ma, in un Paese moderno, esiste una capacità di comprensione delle dinamiche in anticipo e non ex post che consente agli attori economici di fare un minimo di pianificazione sulle scelte di approvvigionamento e sui relativi impatti produttivi e finanziari. Se no, si è solo dei dilettanti. Ed in mercati sempre più competitivi, i dilettanti non vanno da nessuna parte.

La vicenda dell´Ilva di Taranto è il migliore esempio di come in questo Paese per ritornare a crescere bisogna abbandonare il tifo da stadio sui vari temi, più o meno scottanti, e tornare a studiare e analizzare i contenuti con serietà e comprensione delle dinamiche internazionali. Quasi nessun politico proveniente della Seconda Repubblica ne è in grado (ma solo di berciare riempiendosi la bocca e le nostre incolpevoli orecchie di vuoti e irritanti slogan) e se i protagonisti della Terza lo saranno ci sarà una speranza. Se no, le Ilva di Taranto si moltiplicheranno.

È giusto che ci ha qualcosa da dire si impegni e da dare si impegni per evitarlo. Oggi, perché domani sarà già troppo tardi.

 

Le pazzie dell´Ilva viste da un manager internazionale

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