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Arriva dalla Cina un nuovo allarme Covid, con la previsione di 65 milioni di contagi a settimana. Un incubo che ritorna. L’Oms invita i governi a tenersi pronti. Difficile per il nostro Paese, che non ha ancora iniziato a mettere mano al riordino di un sistema sanitario che dal 2019 al 2022 ha evidenziato tutti i propri limiti.

Che la sanità italiana funzioni male e non assicuri quanto auspicato con l’istituzione del sistema sanitario nazionale (Ssn) esattamente quarantacinque anni orsono, ormai lo dicono tutti. Lo dicono anche quanti hanno continuato a descriverlo come il migliore sistema sanitario del mondo, ostinandosi a non vedere, o forse fingendo di non vedere, i tanti segnali che ne mostravano in modo inequivocabile il progressivo declino. Il motivo del pessimismo, ancorché di pochi, derivava dal fatto che, fin da subito, fu introdotta una variante tutta italiana del sistema inglese, a cui si era ispirata la legge 833 del 1978. La gestione della sanità divenne infatti politica e inevitabilmente iniziarono, fin da subito e con sempre maggiore frequenza, le denunce di sprechi di denaro che si sarebbe dovuto utilizzare esclusivamente per fini assistenziali. La pervasività della politica nelle decisioni riguardanti la governance del sistema sanitario era sostenuta e difesa, dagli stessi rappresentanti politici, con la necessità di garantire un “controllo democratico” da parte dei cittadini attraverso i loro rappresentanti, senza che si sia mai riusciti a capire cosa volesse significare questa espressione.

Tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, nel biennio 1999 – 2001, si è completata l’occupazione “militare” del SSN da parte della classe politica e si è frantumato lo stesso in 21 sistemi diversi, affidando le competenze alle regioni. Quello che era nato come un sistema universalistico e uguale per tutti, si è trasformato in una somma di sistemi diversi tra loro, cosa che ha reso la fruizione dell’assistenza sanitaria diversa a seconda del luogo di residenza e dell’adeguatezza dei rappresentanti dei vari governi regionali.

Ciò che è veramente grave, è il fatto che la diversa possibilità di accedere a cure efficaci ha finito per incidere sulla sopravvivenza stessa dei pazienti, come nel caso delle patologie oncologiche, a seconda della regione di residenza.

L’inadeguatezza del sistema sanitario, che ogni regione ha organizzato a suo modo, è clamorosamente venuta alla luce con la pandemia di Covid. L’assenza di una rete di assistenza primaria sul territorio, la mancanza di strutture pronte a intervenire evitando la commistione tra gli infetti e gli altri pazienti, soprattutto fragili e anziani, la carenza di attrezzature adatte alle cure intensive necessarie, la mancanza di personale sanitario, il cui numero si è progressivamente assottigliato per i vari blocchi del turn over, e da ultimo, ma ugualmente importante, lo scatenarsi degli sciacalli della sofferenza che hanno immediatamente approfittato dell’emergenza, hanno tacitato per sempre i sostenitori del sistema sanitario migliore del mondo. Lo scompiglio del Covid ha finito per provocare migliaia di vittime, non solo tra i pazienti colpiti dal virus, ma anche tra quanti, affetti da gravi patologie oncologiche, cardiache e quant’altro, si sono visti negare le cure o hanno rinunciato a recarsi negli ospedali, spesso trasformati in centri di amplificazione e velocizzazione del contagio.

Adesso tutti, dalla maggioranza alle opposizioni, affermano quotidianamente di voler porre il problema della sanità ai primi posti delle cose da riformare per risollevare le sorti del paese, soprattutto ora che con il PNRR si profila una robusta iniezione di risorse.

Le soluzioni proposte dalla maggioranza, e con più forza richieste dall’opposizione, riguardano il potenziamento della medicina territoriale (ma sarebbe più corretto parlare di creazione ex novo) e, anche al fine di fermare la diaspora del personale sanitario verso altri paesi europei ed extraeuropei, nuove assunzioni e più alti emolumenti, soprattutto nei reparti di emergenza-urgenza, svuotati dall’inevitabile e prevedibile invecchiamento del personale conseguente il blocco del turn over attuato da moltissime regioni per far fronte ai piani di rientro.

Ma non è questa la soluzione, o almeno non solo questa.

Se non si blocca la possibilità di spreco di pubblico denaro, cosa che neanche la tragedia del Covid è riuscita a fare, se non si stabilisce una netta separazione tra chi acquista le prestazioni sanitarie, chi le eroga e chi ne controlla l’adeguatezza, ruoli oggi svolti dallo stesso soggetto, se non si riconsidera il ruolo medico e la sua dignità all’interno del sistema, non si farà altro che sprecare montagne di denaro per finanziare un sistema intrinsecamente inadeguato.

Dopo l’attuazione della legge Bindi, che rendeva i Direttori Generali di nomina politica signori assoluti e impuniti delle strutture sanitarie, dopo la riforma del titolo V, che ha consegnato alle singole regioni il potere di governo, la burocratizzazione del sistema, già in atto, ha subìto una fortissima accelerazione, che ha marginalizzato sempre di più i medici e le altre figure deputate all’assistenza dalle decisioni strategiche sull’organizzazione assistenziale, trasformandoli in meri funzionari, esecutori della volontà di una burocrazia spesso incapace e incompetente della materia che pretendeva di governare con l’arroganza del peggiore sottobosco politico.

Le soluzioni proposte, quindi, proprio perché evitano anche di nominare un cambiamento del sistema di governo e un recupero della dignità del ruolo medico, inducono al sospetto che in fin dei conti nessuno, di qualsiasi schieramento, voglia rinunciare ai cospicui dividenti politici, economici e soprattutto clientelari dell’attuale assetto del sistema.

Occorre riformare nelle fondamenta il Ssn, se non si vuole che tutto venga progressivamente assorbito da un privato al contrario sempre più efficiente e agguerrito nel sottrarre prestazioni a un sistema pubblico debole e interessato solo a difendere i privilegi di pochi. Occorre ridare dignità al ruolo medico, liberando gli operatori dai lacci e lacciuoli che li hanno progressivamente e sempre di più avvinghiati e asserviti al potere dei burocrati, se si vuole che il pubblico torni ad attrarre giovani medici bravi, sempre più penalizzati anche da un sistema di assunzioni e carriere rigidamente controllati dai burocrati e i loro politici di riferimento. Non ci si meravigli, quindi, del fatto che gli operatori siano sempre più attratti dalla migliore organizzazione delle strutture estere o, in Italia, dalla sanità privata, non solo dai molto più consistenti guadagni. Al di fuori del servizio pubblico, ciò che trovano è soprattutto il riconoscimento della loro professionalità e stato sociale, la possibilità di svolgere il proprio lavoro non aggravati da un carico burocratico inutile e vessatorio.

Occorre ricostituire l’alleanza tra medici e cittadini, alleanza che per poco tempo il dramma del Covid aveva fatto ritrovare, ponendo fine allo scarico di responsabilità sulle spalle degli operatori da parte di chi non ha provveduto a creare migliori condizioni di lavoro, migliori per i sanitari e più sicure per i pazienti. Molto spesso, fra l’altro, questo giochino praticato da politici e burocrati, ha trovato alleata una stampa desiderosa di sensazionalismo e di suscitare emozioni, amplificando presunti errori medici nella stragrande maggioranza dei casi non confermati dal vaglio dei magistrati. Il risultato logico è l’affermarsi della medicina difensiva, con un mostruoso aggravio di spese, e l’abbandono delle specialità più a rischio. Occorre riconoscere a chi opera nei reparti chirurgici e nei pronto soccorso, spesso con turni massacranti e esposti a contenziosi e financo aggressioni fisiche, anche da un punto di vista economico, la peculiarità del loro lavoro.

Non sarà mai possibile alcuna riforma seria del Ssn, che lo riporti a quello che era lo spirito originario della riforma del ’78, se non si rivoluziona l’attuale forma di governo, togliendo alla politica locale la gestione di aziende sanitarie e aziende ospedaliere. Purtroppo tale argomento rimane assente da ogni discussione e, per quanti investimenti si penserà di programmare, la sostanza del problema è destinata a rimanere immodificata. Continuerà ad esistere la disparità di trattamento tra regioni, molti cittadini saranno costretti a curarsi a proprie spese, magari lontano da casa, o a rinunciare alle cure, così come continuerà la disaffezione degli operatori per la medicina pubblica. Il sistema non arresterà il proprio declino, gli indigenti, i fragili, saranno curati sempre meno e sempre peggio, con buona pace dell’articolo 32 della Costituzione più bella del mondo. Sulla carta.

Il problema della sanità è il suo governo, ma nessuno lo dice. Scrive Greco

Di Cesare Greco

Non sarà mai possibile alcuna riforma seria del Ssn, che lo riporti a quello che era lo spirito originario della riforma del ’78, se non si rivoluziona l’attuale forma di governo, togliendo alla politica locale la gestione di aziende sanitarie e aziende ospedaliere. L’intervento di Cesare Greco, già professore associato di Cardiologia Università “La Sapienza”, Roma

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