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Il Consiglio dei ministri ha approvato in esame preliminare un regolamento che modifica l’organizzazione della Farnesina. Tra le misure adottate ce n’è una che riguarda l’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento, l’Uama, nella quale si chiarisce ulteriormente che tra le competenze dell’unità rientra l’applicazione di tutti i regimi di controllo di importazioni ed esportazioni non attribuiti ad altra struttura del ministero. Tra questi sono inclusi i regimi sanzionatori e gli embarghi e i regimi di controllo previsti dai regolamenti anti-tortura e contro la pena di morte.

In pratica, si specifica il fatto che è l’ente delegato a supervisionare l’import-export militare a gestire i dossier relativi a quali sono quei Paesi verso i quali è possibile esportare materiale d’armamento. Nella vigente legislazione infatti, contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica del 19 maggio 2010, n. 95, è esplicato solo il ruolo di rilascio delle autorizzazioni per l’interscambio di armamenti e dei certificati per le imprese. Quello che può sembrare una mera chiarificazione di qualcosa già in atto, potrebbe invece essere il primo passo verso una modifica più profonda della supervisione che lo Stato attua nei confronti del mercato della difesa.

Al momento, infatti, il ministro plenipotenziario che guida l’Uama ha una responsabilità diretta circa le decisioni da prendere sulla possibilità o meno di esportare (o importare) da un determinato Paese. Spetta a questo funzionario, dunque, una decisione molto delicata e un esame molto approfondito sull’aderenza di potenziali partner commerciali internazionale ai prerequisiti legali previsti dalla legge italiana, primo fra tutto il rispetto dei diritti umani. Compito non facile e potenzialmente foriero di implicazioni enormi.

Da più parti, dunque, si è più volte invocata una riforma che modifichi l’autorità, e quindi la responsabilità, di tali decisioni. Tra le misure suggerite c’è il trasferimento di queste competenze al livello di una commissione ad hoc di ministri, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio, che coinvolga tutti i dicasteri interessati al tema, dagli Esteri alla Difesa, l’Impresa, l’Economia e così via. L’obiettivo è rendere quella che adesso è una responsabilità, anche personale, di una sola figura una responsabilità invece condivisa a livello politico. Una volta effettuata questa decisione dall’esecutivo, l’Uama potrebbe semplicemente occuparsi di rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare la corretta applicazione amministrativa delle misure previste dalla legge.

Una modifica di questo tipo permetterebbe di accelerare i procedimenti sui permessi all’esportazione di sistemi d’arma, settore su cui si basa non solo la sostenibilità finanziaria del settore della difesa, ma l’economia stessa del Paese. Quasi il 70% del fatturato industriale del settore, infatti, dipende dall’export, un fatturato che vale 17 miliardi di euro, più o meno un intero punto percentuale di Pil. Del resto è stata proprio la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), nella sua ultima assemblea a Roma, ospitata del Centro alti studi della Difesa (Casd), a lanciare l’allarme sulla flessione dell’export della difesa italiano, con le autorizzazioni all’esportazioni in continua decrescita dal 2016.

Export della difesa. Cosa può succedere con la riforma dell’Uama

Nella modifica della struttura della Farnesina avanzata dal governo, una misura si concentra sull’autorità per l’export militare Uama. Una misura che chiarisce i compiti dell’autorità, ma che potrebbe aprire a una riforma più profonda sul controllo delle esportazioni di materiale d’armamento del nostro Paese

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