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Tanto tuonò, ma è improbabile che pioverà. Martedì sera la Commissione europea ha pubblicato gli attesi risultati della consultazione sulla questione “fair share” – ossia la richiesta delle aziende di telecomunicazioni di creare un meccanismo affinché chi più utilizza l’infrastruttura digitale, come i giganti dello streaming di Silicon Valley, contribuisca al suo potenziamento. La consultazione si è aperta il 23 febbraio e si è chiusa il 19 maggio, accogliendo 437 risposte e 174 position paper. E i risultati, la cui pubblicazione è stata rimandata per mesi, sono inequivocabili: la proposta delle telco è stata bocciata dai più.

“La maggior parte degli intervistati (soprattutto piattaforme digitali, reti di distribuzione dei contenuti, organizzazioni di consumatori e cittadini) si è dichiarata contraria a un meccanismo obbligatorio di pagamenti diretti” per cui i grandi utilizzatori delle reti – Amazon, Apple, Google, Meta, Microsoft e Netflix secondo l’associazione delle telco europee Etno – avrebbero dovuto contribuire al finanziamento dello sviluppo della rete. Fonti aziendali hanno spiegato a Formiche.net che la stragrande maggioranza dei partecipanti si è opposta al meccanismo, mentre in pochi hanno sentito le ragioni delle telco.

LE RAGIONI DELLE TELCO…

Il risultato è uno smacco alle ambizioni di chi gestisce le infrastrutture digitali. Le telco lamentano da tempo di non disporre di fondi sufficienti per rispettare gli obiettivi europei di digitalizzazione, che prevedono di raggiungere ogni cittadino europeo con una connessione a banda ultralarga entro il 2030. Pochi giorni fa i Ceo di venti gruppi europei, tra cui BT, Orange, Deutsche Telekom, Telefónica, Vodafone e Telecom Italia, avevano firmato una lettera aperta chiedendo alla Commissione di imporre un “contributo equo e proporzionato” per garantire gli investimenti necessari.

Il riassunto della consultazione evidenzia la loro preoccupazione: molte aziende telco prevedono “prospettive negative per i prossimi cinque anni, a causa del continuo calo dei prezzi” di trasmissione dei dati in diversi Paesi europei. Questo contrasterebbe “il potenziale di guadagno derivante dall’aumento del traffico dati e dagli investimenti necessari per sostenere l’aumento del traffico”. Diverse telco hanno avvertito che costruire nuove infrastrutture costa il 20% in più, e tutte hanno previsto che l’aumento previsto del traffico porterà costi maggiori – anche se “solo una [di esse] ha presentato numeri precisi”.

… E I MOTIVI DEL RIFIUTO

Queste posizioni non hanno convinto la maggioranza degli stakeholder. Tutti gli altri partecipanti alla consultazione hanno sollevato perplessità, anche se divergenti. Le stesse telco hanno evidenziato che le piattaforme possono dirottare il traffico e “falsare” le misurazioni e chiesto leggi a riguardo; una serie di ong, organizzazioni dei consumatori e istituzioni accademiche si sono dette preoccupate per il rischio di violazione del principio di neutralità della rete; dei cittadini hanno espresso preoccupazione per l’introduzione di disincentivi per i servizi digitali veicolati attraverso la rete. Questo avvertimento sulle conseguenze indesiderate sui mercati (leggi: aumento dei prezzi che ricade sul consumatore) è arrivato anche dai fornitori di contenuti digitali.

LA REAZIONE DELLE AZIENDE TECH

“Una volta per tutte, questa consultazione dimostra che la stragrande maggioranza delle parti interessate è d’accordo: l’introduzione di tariffe per l’utilizzo della rete sarebbe un’intrusione normativa inutile e dannosa, non necessaria né giustificata. Solo alcuni grandi operatori di telecomunicazioni sono favorevoli alla creazione di qualsiasi tipo di pagamento obbligatorio o di meccanismo di arbitrato negoziato”, ha dichiarato in un comunicato Daniel Friedlaender, vicepresidente e responsabile di Ccia (l’associazione che rappresenta le piattaforme digitali in Ue).

Per Friedlander, quella delle telco non era una richiesta di contributo equo ma una strategia per farsi sovvenzionare le reti dalle aziende tecnologiche e di contenuti online – “e in ultima analisi dai consumatori europei, attraverso le tariffe di rete”, ottenendo un “enorme profitto in eccesso” ogni anno. Piuttosto che far pagare lo scotto agli utenti, ha scritto, l’Ue dovrebbe “concentrarsi su azioni che accelerino effettivamente l’installazione” di reti a banda ultralarga.

LA RISPOSTA DI BRETON

Il principale promotore delle ragioni delle telco era proprio lui, il commissario per il Mercato interno (e già ceo di Orange) Thierry Breton. Nelle stesse ore in cui comparivano online i risultati della consultazione, Breton li ha commentati attraverso un articolo su LinkedIn. “Alcuni hanno cercato di ridurre la questione degli investimenti a una battaglia per il ‘fair share’ tra Big Telco e Big Tech. Una scelta binaria tra gli interessi acquisiti di chi oggi fornisce le reti e di chi attualmente le alimenta con il traffico. Ma se trovare un modello di finanziamento per gli enormi investimenti necessari è una questione importante che dovremo affrontare, la posta in gioco è molto più alta. Si tratta di compiere il grande salto che ci attende: non solo nel settore delle telecomunicazioni, ma più in generale nelle tecnologie digitali”.

Servono più investimenti, specie investimenti privati, per poter sperare di raggiungere gli obiettivi e costruire un vero mercato unico delle telecomunicazioni, ha scritto il commissario. L’intenzione della Commissione è affrontare gli ostacoli sul percorso – legati all’acquisizione dello spettro, al consolidamento delle aziende, alla sicurezza digitale e, appunto, alla necessità di potenziare la rete – con un nuovo “Digital Networks Act”. Il piano è presentare le linee guida nel primo trimestre del 2024 con l’obiettivo di arrivare a una proposta prima dell’estate del 2025, scrive Politico. Sembra dunque tramontato il “Telecoms Act” che aveva annunciato lo scorso agosto, descrivendolo come un “nuovo approccio industriale per sfruttare la forza del mercato unico”. E considerando che nel 2025 ci sarà una nuova Commissione europea, frutto delle elezioni europee di giugno 2024, non è detto che l’approccio Breton sopravviva.

LA COMUNICAZIONE DI ETNO

Da parte sua, l’associazione che rappresenta le telco ha accolto con favore il piano di Breton per il Digital Networks Act. I risultati della consultazione “convalidano chiaramente la necessità di ulteriori investimenti” per potenziare l’infrastruttura ma anche far fronte all’aumento del traffico di dati e ai nuovi requisiti di sicurezza, ha dichiarato in un comunicato. E non sembra voler abbandonare la battaglia: citando le parole di Breton sulla necessità di trovare un modello per finanziare questi investimenti, i membri di Etno “[attendono] con ansia che la Commissione utilizzi tutte le leve politiche per affrontare il divario negli investimenti, compresa la questione di una ‘fair share’ attraverso il contributo dei grandi generatori di traffico, come richiesto anche dal Parlamento europeo”.

Fair share, il no degli stakeholder. E Breton guarda al 2025

Dai risultati della consultazione (pubblicati con mesi di ritardo) emerge che la maggior parte dei partecipanti all’economia digitale non sostiene l’idea di tassare le Big Tech per investire nello sviluppo delle infrastrutture. Intanto il commissario al Mercato interno annuncia un “Digital Networks Act” dopo le elezioni europee. Le reazioni delle aziende tech e delle telco

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