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Non ci sono solo i carri armati a tenere banco nella stretta attualità del dossier Gaza, ma anche un convitato di pietra che è elemento centralissimo per comprendere le evoluzioni del quadro d’insieme in Medio Oriente: il gas. Prima del 7 ottobre era fervido il dibattito su come utilizzare le copiose riserve di gas presenti nel Mediterraneo orientale tra Israele, Cipro, Egitto, Grecia accanto ad uno strumento strategico come gli Accordi di Abramo. Il gasdotto Eastmed era un’opzione, accanto ad altre riflessioni su vettori meno esosi, ma comunque nevralgici per garantire il trasporto di quel gas in Europa e nei Paesi vicini.

Oggi la novità è rappresentata dalla firma di un accordo tra Chevron e l’operatore statale Israel Natural Gas Lines per dare il via alla costruzione di Nitzana, gasdotto che trasporterà il gas dal giacimento Leviathan fino in Egitto. In questo modo la capacità totale di esportazione di Israele verso l’Egitto supererà i 2,2 miliardi di piedi cubi al giorno. Ecco che l’aspetto energetico, accanto a quello legato al ruolo del Cairo, soprattutto nei confronti della popolazione civile da un lato e dell’appoggio ai fratelli musulmani dall’altro, assume una veste niente affatto secondaria.

I problemi economici interni dell’Egitto rappresentano un elemento da tenere in considerazione nell’ambito di una riflessione generale sulle relazioni energetiche in Medio oriente e sul contributo offerto da Israele. Esiste una stretta connessione tra l’economia e gli sviluppi geopolitici che si stanno chiarendo, per cui l’accordo in questione tra stato e aziende private rappresenterà un supporto oggettivo, anche ad appannaggio del Cairo. Sul punto sono in corso discussioni all’interno del governo Netanyahu.

Di contro Al Sisi è consapevole che l’accordo da 35 miliardi di dollari per il gas da Israele risolverà definitivamente la crisi energetica interna, dettata da un calo della produzione (dai 6,1 milioni di metri cubi di marzo 2021 ai 3,5 del maggio 2025). Un crollo del 45% che sarà stemperato grazie a Leviathan che detiene riserve da 600 miliardi di metri cubi di gas. Al contempo si rafforza la posizione di Israele come esportatore di gas e grazie al giacimento in questione, che è uno dei più grandi del Mediterraneo orientale.

Già prima dei dubbi euroturchi sull’EastMed, Israele non aveva mai inteso attendere le decisioni politiche circa il gasdotto al fine di procedere alla infrastrutturazione necessaria per portare a sfruttamento i suoi giacimenti, con l’Italia alla finestra. Due anni fa ha investito 520 mln euro per costruire un terzo gasdotto sottomarino per aumentare la produzione del giacimento di gas naturale Leviathan al largo della costa israeliana, passando dai circa 12 miliardi di metri cubi a quasi 14 miliardi all’anno.

Non solo Egitto, la nuova veste energetica israeliana è anche vantaggiosa per la Giordania, che riceve rifornimenti di gas da Gerusalemme oltre all’acqua (essenziale per la vita quotidiana). Stando al rapporto annuale pubblicato dal ministero dell’energia israeliano, le esportazioni di gas naturale di Israele verso i due Paesi confinanti sono ammontate lo scorso anno a 13,11 miliardi di metri cubi, in aumento rispetto agli 11,56 di dodici mesi prima. In totale lo scorso anno Israele ha prodotto 27,38 miliardi di metri cubi di gas naturale dai tre giacimenti che controlla nel Mar Mediterraneo, di gas Leviathan, Tamar e Karish. Si tratta di numeri in aumento dell’8,3% rispetto ai 25,28 miliardi di metri cubi fatti registrare nel 2023. I ricavi sono stati pari a 638,36 milioni di dollari.

Così il gas israeliano risolve la crisi di Egitto e Giordania

Esiste una stretta connessione tra l’economia e gli sviluppi geopolitici: l’accordo in questione tra stato e aziende private rappresenterà un supporto oggettivo, anche ad appannaggio del Cairo. Oggi la novità è rappresentata dalla firma di un accordo tra Chevron e l’operatore statale Israel Natural Gas Lines per dare il via alla costruzione di Nitzana, gasdotto che trasporterà il gas dal giacimento Leviathan fino in Egitto…

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