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Tra le tante critiche mosse nei riguardi del nuovo codice degli appalti c’è un tema che, in particolare, meriterebbe un approfondimento. Si tratta di un tema molto delicato, e vale a dire l’utilizzo dell’affidamento diretto per lavori inferiori a 150 mila euro da parte delle stazioni appaltanti, senza ricorrere allo strumento della gara.

Chiunque abbia un minimo di lucidità non può che trovare quantomeno fondate le preoccupazioni legate a questo strumento, soprattutto se si guardano alle difficoltà cui il nostro Paese è negli anni incorso. Eppure, questa misura può essere un’ importante scommessa per il Paese purché tale strumento venga utilizzato non solo con correttezza, ma anche con una visione di medio periodo.

I rischi collegati a questo tipo di scelta sono noti: rischio di attribuire lavori e servizi ad aziende vicine, rischio di favorire comportamenti opportunistici, rischio di introdurre all’interno di un mercato territorialmente circoscritto variabili esogene al mercato, che possono incidere notevolmente sulla struttura degli operatori generando oligopoli artificiali, e via dicendo.

Perché dunque un tale strumento può anche essere interpretato come un’opportunità? Per poter rispondere a questa domanda è forse necessario introdurre all’interno del discorso una riflessione sul concetto di sviluppo territoriale e una sua potenziale declinazione in ambito di libero mercato.

Ad oggi, il concetto che è alla base delle scelte delle Pubbliche Amministrazioni è un concetto di tipo prettamente utilitaristico: i criteri di valutazione con i quali vengono affidati lavori o servizi sono infatti volti ad ottenere, nella maggior parte dei casi, il massimo risultato con il minimo sforzo, e vale a dire, i servizi qualitativamente migliori tenendo conto anche delle dimensioni economiche di riferimento.

Si tratta di un criterio ineccepibile sotto il profilo del rapporto tra committente e fornitore: quest’ultimo infatti viene selezionato principalmente attraverso le proprie proposte (all’offerta tecnica viene in genere attribuito un punteggio ponderale maggiore rispetto a quella economica) il che significa, che tenendo conto della concorrenzialità economica delle offerte, la stazione appaltante tende a privilegiare quei soggetti che si impegnano a fornire i migliori lavori o servizi alla collettività.

Ogni medaglia ha però il proprio riflesso: questo tipo di contrattualistica, infatti, tende a privilegiare la formazione di operatori medio-grandi che partecipano a quante più gare possibili sia direttamente, sia mediante il ricorso ad aggregazioni con soggetti del territorio (in forma di rete temporanea di imprese) ai quali fornire una parte dell’intero complesso dei lavori.

Anche questa tipologia di effetto non è da considerarsi come negativa: l’ipotesi alla base è che ci sia un’azienda piccola che tende a crescere anche grazie alla collaborazione con soggetti più grandi, dai quali poter apprendere metodi e organizzazione del lavoro tendenzialmente più strutturate.

Questo generale disegno, tuttavia, implica anche alcuni elementi che possono essere considerati, se non negativi in senso assoluto, quantomeno “meno positivi”: in primo luogo la presenza di operatori oligopolistici,  soprattutto in mercati che non tendono “naturalmente” alla formazione di tali operatori, rappresenta pur sempre un rischio distorsivo del mercato. In secondo luogo, con il crescere del potere contrattuale di tali operatori, si rischia di ridurre il ruolo degli operatori territoriali. Ancora, la composizione delle “reti”, lasciata come giusto che sia alle dinamiche interne, può non favorire lo scambio di conoscenze e di esperienze, riducendo quindi il potenziale accrescitivo degli operatori territoriali.

In questo senso, l’utilizzo dell’affidamento diretto rappresenta invece uno strumento che può mitigare tali effetti. La logica dell’affidamento diretto può essere infatti declinata secondo presupposti differenti, introducendo, all’interno di quello che è un mero scambio economico, una valutazione di sviluppo economico territoriale.

Detto in altri termini, l’affidamento diretto è uno strumento mediante il quale, potenzialmente, un Comune può decidere di affidare lavori o servizi ad una società che, pur non potendo garantire gli stessi standard qualitativi che potrebbe fornire una multinazionale, ha dimostrato di avere gli strumenti per crescere, e ha lavorato, all’interno del contesto territoriale, con professionalità, o si è mostrata particolarmente proattiva nello sviluppo del territorio.

Con l’affidamento diretto, quindi, si viene a connaturare una condizione in cui un Comune decide di affidare dei lavori o dei servizi ad un’impresa del territorio, accettando anche un livello di servizio più basso rispetto agli standard internazionali, e accettando, al contempo, un prezzo più elevato rispetto a quanto si potrebbe ottenere ricorrendo al mercato internazionale, con lo scopo di immettere, all’interno del proprio territorio di riferimento, nuovi flussi economici e finanziari, e di fornire a tale impresa l’opportunità di crescere, tanto economicamente, quanto finanziariamente.

Chiaramente, si tratta di motivazioni molto ampie, che danno all’Amministrazione una serie di libertà arbitrali che rischiano di rendere ancora più ampio il problema dei comportamenti scorretti. Per evitare tali derive, tuttavia, è possibile pensare a strumenti che favoriscano l’utilizzo sano di questa arbitrarietà, primo fra tutti, la trasparenza.

Il concetto di trasparenza può essere declinato in numerosi modi. Uno di essi, ad esempio, può essere una relazione scritta, a mezzo della quale il dirigente indica pubblicamente i motivi che hanno portato alla propria scelta, rivendicando quindi le proprie motivazioni e assumendosi al contempo le responsabilità collegate.

Altra modalità di intervento può essere la predisposizione volontaria, da parte dell’Amministrazione, di griglie di valutazione che tengano conto di elementi anche extra-contrattuali. Tali griglie, di fatto, rappresenterebbero una sorta di collegamento con gli obiettivi politici: se la priorità dichiarata è stata quella di favorire la crescita delle imprese giovani, allora la griglia di valutazione interna predisposta dall’Amministrazione potrebbe contenere un criterio premiale per le società che presentano età media dei lavoratori al di sotto dei 35 anni; se è stato dichiarato come prioritario lo sviluppo di una dinamica di collaborazione tra imprese e amministrazioni sul territorio, allora la griglia potrebbe favorire quelle imprese che hanno maggiormente investito nel territorio, attraverso sponsorizzazioni o attraverso altre azioni volte a favorire lo sviluppo territoriale nel suo complesso. È chiaro che anche tali griglie potrebbero essere utilizzate in modo distorto.

La vera sfida, infatti, non è quella di trovare uno strumento che impedisca a chi è in malafede di agire secondo scopi personalistici. La sfida è diffondere una cultura della fiducia, e di dare al nostro Paese l’opportunità di essere migliore delle aspettative. Del resto, se accettiamo come un dato di fatto che chi ricopre un ruolo pubblico agisce soltanto per i propri interessi personalistici, accettiamo come diretta conseguenza che il nostro è un Paese vocato all’autodistruzione.

Punto.

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