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“Il nostro successo dipenderà dalla nostra capacità di navigare in un mondo con tre elementi distintivi”. Lo scrive William Burns, direttore della Cia, in un editoriale sul Washington Post che è un riadattamento del suo recente discorso alla fondazione britannica Ditchley in cui ha evidenziato, tra le altre cose, come il malcontento in Russia per l’invasione dell’Ucraina offra un’occasione unica di reclutamento per l’agenzia di Langley che si basa in larga parte sulla human intelligence.

Il primo elemento è “la sfida della concorrenza strategica di una Cina in ascesa e ambiziosa e di una Russia che ci ricorda costantemente che le potenze in declino possono essere dirompenti almeno quanto quelle in ascesa”, scrive Burns. Che più avanti aggiunge: “L’aggressione della Russia rappresenta un’importante sfida. Ma la Cina è l’unico Paese che ha l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale e, sempre più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Il secondo è rappresentato da “i problemi senza passaporto”, come le pandemie e la crisi climatica, che nessun Paese può affrontare da solo. Il terzo è la rivoluzione tecnologica, “che sta trasformando il modo in cui viviamo, lavoriamo, combattiamo e competiamo, con possibilità e rischi che non possiamo ancora comprendere appieno”.

Si tratta di sfide singolari che “sono talvolta in conflitto tra loro”. Basti pensare alle prime due. Anche per questo, continua l’ex ambasciatore statunitense in Russia, la risposta ai rischi delle dipendenze strategiche non può essere il decoupling con l’economia cinese. Sarebbe “una follia”. Tuttavia, è necessario “ridurre il rischio e diversificare in modo ragionevole, assicurando catene di approvvigionamento resistenti, proteggendo il nostro vantaggio tecnologico e investendo nella capacità industriale”. Con riferimento alla Cina, in questi anni la Cia ha lavorato per rafforzare il suo impegno (con un nuovo centro ad hoc e assunzioni di persone che conoscono il mandarino) ma anche per assicurare comunicazioni stabili con Pechino per evitare “inutili malintesi e scontri involontari”, ha spiegato Burns, tra i più ascoltati consiglieri del presidente Joe Biden.

Nel suo discorso, poi, è tornato a parlare del ruolo pubblico dell’intelligence nei mesi che hanno preceduto la guerra in Ucraina, fondamentale per rispondere alla propaganda di Vladimir Putin e per creare un fronte compatto in Occidente (anche se alcuni Paesi come Francia e Germania, e probabilmente Italia, non volevano creare che il Cremlino facesse qualcosa di “così stupido”, ha raccontato nei giorni scorsi Sir Simon Gass, ex capo del Joint Intelligence Committee britannico).

Successivamente si è soffermato sull’evoluzione delle tecniche e dei metodo di spionaggio rispetto alla Guerra fredda. Un esempio? La sorveglianza, che rende gli incontri con le fonti un’attività molto rischiosa. Ma nonostante la rivoluzione tecnologica e l’importanza delle tecnica di raccolta su fonti aperte, “ci saranno sempre dei segreti che necessitano di un uomo per essere raccolti e delle operazioni clandestine che solo un uomo può eseguire”. “L’intelligence segreta rimane importante come sempre, solo che il suo impatto è meno evidente dell’Osint”, ha scritto recentemente Dan Lomas, docente di intelligence e studi sulla sicurezza alla Brunel University di Londra.

Infine, parlando dell’importanza delle relazioni personali, ha sottolineato un’altra “priorità fondamentale in questa nuova era”, quella approfondire le partnership di intelligence nel mondo e rinnovare l’impegno nella diplomazia dell’intelligence. “Nulla può sostituire il contatto diretto per approfondire i legami con i nostri alleati più stretti, comunicare con i nostri avversari più agguerriti, e coltivare tutti quelli che si trovano nel mezzo”, ha concluso.

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