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“Identità e storia del cattolicesimo associato in Italia” è il titolo del terzo bando lanciato a livello nazionale dal Movimento Cristiano Lavoratori e dalla sua rivista Traguardi Sociali.

La premiazione di quello che è il principale premio italiano che spinge i giovani a riflettere su storia, metodo, prospettiva, della presenza organizzata dei cattolici nel sociale e nel politico, è avvenuta presso l’Università Cattolica di Milano il 9 luglio all’interno del simposio “Il cattolicesimo associato nella Dottrina Sociale della Chiesa. Da Leone XIII a Leone XIV”.

Dopo i saluti del presidente di Traguardi Sociali, Antonio Inchingoli e la straordinaria prolusione dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, hanno preso la parola i membri della giuria, i professori Lorenzo Ornaghi, già rettore della Cattolica e Ministro della Cultura, Francesco Bonini, rettore della Lumsa, Michele Rosboch, Università di Torino con a seguire le conclusioni del presidente generale Mcl Alfonso Luzzi.

L’unico liceale in corsa tra tutti universitari, il moncalierese Matteo Cerrato è entrato nella terna vincitrice presentando la storia dell’ultima sezione popolare sturziana operativa d’Italia, quella di Moncalieri (To), fondata il 30 giugno 1919 dal sindaco Felice Masera che diventerà, poi, primo Presidente internazionale degli ex Allievi Salesiani e che viene riconosciuta nella sua straordinaria continuità ed originalità, caratterizzata da personaggi importanti che hanno contribuito alla storia e identità popolare e democratico cristiana, da Mario Becchis, sindaco, pittore e poeta, a Silvio Lega e Giovanni Porcellana, fino a Mino Martinazzoli e soprattutto Gerardo Bianco e Alberto Monticone, in particolare riconoscendo la sua solitaria resistenza per difendere e salvare il miglior pensiero politico di cattolici, il popolarismo, durante la sedicente e fallimentare “seconda repubblica”.

L’ipotesi della pubblicazione di tale testo, scritto da un giovane come segno di una identità viva e non di una mera cura di tipo cimiteriale, sarà importante perché, di fronte ad una classe dirigente che, avuto il testimone di una storia, un’ identità, un’ organizzazione ed un popolo, ha sciolto e fatto sparire tutto giustificando in ogni maniera l’andata a servizio di quella destra o sinistra che, proprio nel tempo della “seconda repubblica”, hanno avuto come obiettivo la disarticolazione e l’irrilevanza dei cattolici fino al silenzio ridotti da un lato a cristianisti e dall’altro ai “cattolicisti democratici” di gramsciana memoria, servizievoli interessati a farsi guardiani delle divisioni per mantenere ridotte utilità marginali: oggi ancora si sente chi parla a sproposito, rinnegando proprio quella storia che la sezione rappresenta quasi come l’ultima denominazione di origine controllata popolare italiana, contro l’unità politica dei cattolici dimenticando, non solo che ci hanno fatto carriera grazie ad essa ma che se non è un dogma non è certo un peccato (cit. Martinazzoli) e l’invito a ritrovarsi intorno ai principi della DSC fatto da Papa Francesco al PPE.

Ma proprio il principio di realtà e l’urgenza di uscire dalla narrazione protetta per affrontare i problemi veri, come l’irrilevanza, ha reso straordinario l’intervento di Delpini che sgombra il campo pure dai politicismi degli intramontabili protagonisti della stagione della costruzione dell’irrilevanza stessa.

L’arcivescovo, naturalmente, ha fatto un discorso generale centrato sull’associazionismo cattolico, arrivando a porsi una domanda centrale: “siamo insignificanti perché ci adeguiamo. Come essere attrattivi se siamo irriconoscibili?”: ciò dovrebbe far interrogare immediatamente i cattolici, le associazioni, chi pensa al metodo per un nuovo protagonismo sociale e politico, rispetto alla risposta senza dimenticare, come monito e allerta, la difficoltà dimostrata nel recepire, ad esempio, l’indicazione di Papa Leone XIV sulla centralità della legge naturale che dovrebbe sanare le fratture tra cattolici della morale e cattolici del sociale per superare l’adeguamento ai tempi che ha portato a non capirli più, andando proprio verso la citata “stucchevole autocelebrazione da Museo, mentre un altro aspetto è la dinamica delle divisioni interne”.

In un tempo di incidenza pervasiva dell’individualismo e sospetta irrilevanza in cui i temi cari ai cattolici non paiono interessare, eclatante quello della pace, monsignore ricorda che “nel contesto del declino dell’Occidente, la proposta della Dottrina Sociale della Chiesa, che ha a cuore lo sviluppo integrale della persona, la sua dignità e la giustizia dei rapporti nella società, è come circondata da una silenziosa complicità nel disinteresse” citando la silenziata Settimana Sociale di Trieste, esempio di totale irrilevanza.

I cattolici, approfondendo l’analisi, il mondo cattolico nella sua dimensione di oggi di arcipelago di realtà organizzate, non trasmette il fatto che “l’associazionismo non sia motivato dalla sindrome dell’assedio, ma dalla risposta a una vocazione perché siamo chiamati a essere una presenza significativa nella società in quanto cristiani e non per ideologia o un interesse autoreferenziale”.

In questo passaggio c’è forse, purtroppo, il cuore del problema di chi si riduce troppo spesso a volersi far piacere a tutti, nascondendo fin anche la radice cristiana della stessa laicità, spalancando le porte alle colonizzazioni ideologiche e alle manovre autoreferenziali rispetto a cui si potrebbe fare riferimento a Papa Benedetto XVI: “Il cristiano spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulla verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo. Non è così lontano oggi il rischio di costruire, per così dire, una religione “fai-da-te”.

Dobbiamo invece tornare a Dio, al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscoprire il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze e nella vita quotidiana”.

La sfida sta esattamente in questa quotidianità che si colloca nel mondo e dove la politica, a cui vanno riconosciuti i limiti per non renderla un assoluto, centra con la vita e la comunità e non può non rivedere, per questo, una militanza di cattolici che riprende dialogo, convergenza, continuità, durata, autonomia.

Nel suo discorso Delpini non solo nel contenuto ma nella stessa forma e intenzione di non nascondere ciò che non va sembra assumere uno stile e parole che possono essere definiti “sturziani” eaattamente come quelli del Regnante Pontefice che si collega a Leone XIII la cui stagione complessa, l’Arcivescovo ha ricordato, portò alla necessità dell’organizzazione dei cattolici. Il richiamo all’incisività della testimonianza, non partendo dalla preoccupazione dei numeri, seminando speranza, non porta alla stessa necessità nel cambio d’epoca di oggi?

Il cattolicesimo organizzato tra memoria, irrilevanza e necessità di ricominciare. Scrive Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Nel cuore del simposio milanese promosso dal Movimento Cristiano Lavoratori, la voce della tradizione popolare cattolica si riaccende grazie ai giovani, come il liceale Matteo Cerrato, che riscoprono la radice viva del popolarismo. L’arcivescovo Delpini lancia un monito contro l’adeguamento e l’insignificanza, chiedendo un nuovo protagonismo sociale e politico del cattolicesimo associato. Tra storia, Dottrina Sociale della Chiesa e l’eco dei grandi come Sturzo, Monticone e Martinazzoli, si fa strada l’urgenza di superare la frammentazione per tornare a essere presenza, non reliquia. L’analisi di Chiapello

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Di Marco Lisi

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