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Donald Trump ha annunciato l’introduzione di un dazio del 50% su tutte le importazioni provenienti dall’Unione Europea a partire dal 1° giugno 2025, intensificando lo scontro commerciale transatlantico a poche settimane dalla tregua siglata con la Cina. “Non stiamo cercando un accordo”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, aggiungendo che le trattative con Bruxelles stanno fallendo e accusando l’Ue di pratiche commerciali sleali. In un post su Truth Social ha scritto che stante la situazione “sto raccomandando” la misura contro l’alleato del blocco occidentale.

Il commissario europeo al Commercio, Maroš Šefčovič, ha risposto con fermezza, affermando che l’Ue “difenderà i propri interessi” e sottolineando che il commercio transatlantico “deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce”. Dopo una telefonata con i suoi omologhi statunitensi, Šefčovič e il suo team hanno ribadito l’impegno dell’Ue a trovare un’intesa “che funzioni per entrambi”.

Interpellato nello Studio Ovale sulla possibilità che il dazio sia uno strumento di pressione per forzare un accordo, Trump ha risposto: “Abbiamo già fissato l’accordo. È al 50 per cento”, aggiungendo di “non sapere” se l’Ue potrà fare qualcosa per evitarlo, anche se ha aperto a un possibile rinvio qualora le imprese europee si impegnassero a rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti. “Vedremo cosa succederà. Ma per ora, parte il primo giugno, e così sarà”.

Le dichiarazioni del presidente hanno colto di sorpresa i mercati, provocando un calo degli indici azionari e un indebolimento del dollaro, interrompendo settimane di relativa stabilità dopo la fine della fase più acuta della guerra commerciale con Pechino. Tanto per dare un significato alla mossa americana, Capital Economics stima che un dazio del 50% potrebbe ridurre il Pil tedesco dell’1,7% nell’arco di tre anni.

Agathe Demarais, Senior Policy Fellow presso lo European Council on Foreign Relations, osserva che non è sorprendente che Trump stia ora concentrando la sua attenzione sull’Europa, dopo aver raggiunto un’intesa temporanea con la Cina. Commentando a caldo la notizia con Formiche.net, spiega che le richieste dell’amministrazione riflettono una frustrazione crescente verso l’approccio dell’Ue, definito “professionale, calmo e burocratico”, in contrasto con la disponibilità di Trump a firmare “accordi che appaiono spettacolari, anche se in realtà contano poco”.

A causa della rigidità istituzionale europea, che mal si presta a negoziati rapidi, “l’Ue non chiude accordi commerciali nel giro di poche ore: semplicemente non è così che funziona”, ha detto. “Ciò significa che se i mercati finanziari reagiscono fortemente agli annunci di Trump, potrebbe doversi rendere conto che un tasso del 50% sull’Ue sarebbe molto dannoso per l’economia statunitense. L’annuncio di Trump è uscito dal nulla, suggerendo che non era stato valutato dai mercati finanziari”.

Demarais sottolinea infine che saranno le imprese e i consumatori statunitensi a pagare il prezzo di questa politica. “I dazi sono una tassa sulle importazioni, e le aziende americane tendono a trasferire i costi maggiori sui consumatori”, ha osservato, evidenziando i rischi inflazionistici e l’impatto negativo sulla crescita.

Per la thinktanker di Ecfr, il vero problema per l’Ue è l’assenza di chiarezza sugli obiettivi americani. “I negoziatori europei si interrogano su quali siano le reali richieste statunitensi”, ha detto, suggerendo che queste potrebbero includere una riduzione dei legami economici con la Cina, un aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto e armamenti dagli Usa, oppure modifiche ai regimi Iva dei paesi membri.

L’esperta ritiene inoltre che il livello delle tariffe abbia ormai perso significato reale. “I dazi sono così stratosferici che ormai non significano quasi più nulla”, ha commentato. “Ci si può chiedere perché Trump scelga il 50% invece del 25% o del 100%. Forse aumenterà la minaccia al 100% tra poche ore, o farà marcia indietro entro fine giornata. Nessuno lo sa, probabilmente nemmeno lui”.

Ma da Washington potrebbe anche esserci un gioco su doppia linea. Il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, ha per esempio adottato un tono meno ultimativo rispetto al presidente, lasciando intendere che la minaccia tariffaria serva a imprimere un’accelerazione ai negoziati. “Credo che questa sia una risposta al ritmo dell’Ue”, ha dichiarato a Fox News, auspicando che la mossa serva “a dare una scossa a Bruxelles”. In un’intervista separata a Bloomberg TV, Bessent ha anche annunciato che Washington si attende “diversi grandi accordi” nelle prossime settimane, segno che l’offensiva tariffaria potrebbe rientrare in una strategia negoziale più ampia.

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