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La tragedia di Casal Palocco, in cui gli youtuber “The Borderline” hanno travolto una smart provocando la morte di un bimbo di cinque anni apre diversi interrogativi. Di primo acchito la reazione, sull’onda emotiva provocata dalla tragedia, è stata quella di immaginare una “stretta sugli youtuber” inasprendo le pene per il mondo del web. Il problema, tuttavia, è molto complesso e intreccia una serie di piani. In particolare, la legislazione per le Big Tech è già abbastanza chiara (e stringente), specie a fronte delle nuove regole europee introdotte dal Digital Services Act. Senza contare peraltro il fatto che le piattaforme hanno già una forma di autoregolamentazione sui contenuti che vengono caricati in rete e poi diffusi. Per cui, per analizzare più a fondo questo tema, Formiche.net ha interpellato due esperti: Francesco Nicodemo, direttore editoriale della Fondazione Italia Digitale, e Stefania Garassini, docente di content management e digital journalism all’Università Cattolica, nonché componente del comitato scientifico della fondazione Pensiero Solido.

“Nell’utilizzo della rete da parte degli utenti – spiega Garassini – si è perso completamente il senso del limite. Purtroppo non solo da parte dei ragazzi, ma anche da parte degli adulti”. Dal punto di vista più strettamente legislativo, ricorda l’esperta, “recentemente la Corte Suprema degli Usa ha sostanzialmente rimarcato un concetto: la sostanziale neutralità delle piattaforme. In Europa, anche il Dsa ribadisce questa linea, benché attribuisca maggiori responsabilità in termini di controllo e vaglio dei contenuti diffusi alle piattaforme che annoverano un numero molto alto di utenti”.

Come detto, comunque, le piattaforme hanno “forme di autoregolamentazione e di controllo. Ma si tratta – scandisce Garassini – di controlli ex post, ossia che avvengono dopo la pubblicazione dei contenuti. E d’altra parte, non essendo queste piattaforme riconosciute come soggetti ‘editoriali’ non può che essere così allo stato delle cose. Un cambio di paradigma sotto questo profilo, ovvero un controllo prima della pubblicazione dei contenuti, significherebbe esplicitamente riconoscere le piattaforme come soggetti editoriali”.

E allora come tentare di risolvere il problema? Introducendo nuove regole? “Intanto – risponde la docente – sarebbe già un significativo passo avanti far rispettare le regole già esistenti e in vigore. Tuttavia, nel solco anche di quanto sta accadendo in altri Paesi europei come la Francia, sarebbe auspicabile che si alzasse la soglia dell’età per poter adoperare i social, ad esempio. In questo senso, forse, una regolamentazione più stringente sarebbe positiva”.

A fronte dell’ipotesi di una regolamentazione ulteriore legata alle responsabilità in capo alle piattaforme, il direttore editoriale della Fondazione Italia Digitale scuote il capo. “Ciò che bisognerebbe evitare in questi casi, e che invece puntualmente si verifica – dice – è la reazione emotiva da parte del legislatore. Anche perché vanno tenuti in considerazione diversi aspetti a partire dal fatto che le piattaforme hanno forme di autoregolamentazione e sono particolarmente attente al forte danno reputazionale che la diffusione di alcuni contenuti può provocare”. Con relativi riverberi sotto il profilo economico.

A fronte della presenza del Dsa, comunque, “se si dovessero introdurre nuove regole, il rischio sarebbe quello di andare a creare una bulimia legislativa, con il risultato di introdurre nuove fattispecie ma del tutto inefficaci in termini pratici”. Ipernormativismo da evitare, insomma. Ma, soprattutto, chiude Nicodemo, “non bisogna attribuire delle ‘colpe’ sovradimensionate alle piattaforme che, in fin dei conti, rimangono degli strumenti a disposizione dell’utenza”.

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