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Sta girando molto sui social network il video in cui Rasha Nabil, giornalista di al Arabiya, ha “grigliato” (americanizzazione) in diretta televisiva il leader di Hamas, Khaled Mashal. Il capo del Politburo del gruppo jihadista palestinese che ha massacrato oltre mille persone (per lo più israeliane) due settimana fa esatte, è andato in televisione dal Qatar, dove si trova rifugiato, a parlare dell’azione dell’ala militare, in parte giustificandola (per le responsabilità israeliane nell’aver avvelenato la situazione), in parte giustificandosi (dissimulando sulle connessioni tra il braccio armato e la componente politica). E Nabil l’ha messo in difficoltà davanti a queste ambiguità.

Nelle valutazioni dei contenuti, occorre andare oltre alla clip che sta circolando su Internet, prodotta dal Memri – il Middle East Research Institute, oggettivamente pro-israeliano, fondato dall’ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana Yigal Carmon e il politologo israelo-americano Meyrav Wurmser. Il taglio del video è studiato per esaltare Nabil e il suo spirito giornalistico terzo, sebbene è da valutare che al Arabiya non è tendenzialmente un contenitore di informazioni terze (e terse). Il canale è infatti molto allineato con gli interessi emiratini e sauditi, sia regionali che internazionali. Ed è proprio la diffusione globale, il peso, il taglio che danno all’intervista a Mashal un ulteriore valore di carattere strategico.

“Siamo ben consapevoli delle conseguenze” dell’attacco dice Mashal incalzato dalla giornalista araba. Poi, quando la conduttrice gli fa notare che dopo il brutale assalto ora Hamas è messa sullo stesso piano di comportamenti dello Stato Islamico (massacri di civili, brutalizzazioni dei corpi, spettacolarizzazione delle esecuzioni, violenze sugli ostaggi) Mashal respinge le accuse. Dice che è una costruzione “fabbricata dal governo” e rilancia che Hamas si concentra sulle forze di occupazione e i soldati, non intenzionalmente sui civili. È eccezionale già l’averlo portato a negare un’evidenza così schiacciante.

Mashal ha difeso le azioni dei palestinesi, accomunandoli all’ala armata del suo gruppo anche se così non è, dicendo che le nazioni non si liberano facilmente e che la nazione palestinese deve fare sacrifici per ottenere la libertà. Ha usato un paragone, il successo dei Talebani, forse nemmeno estremamente efficace. Ha anche previsto un declino di Israele, sottolineando che l’esercito israeliano si è indebolito e che il popolo palestinese è disposto a essere paziente.

Poi ha anche dichiarato che Hamas è pronto a negoziare il rilascio di ostaggi civili catturati durante l’attacco in cambio di prigionieri palestinesi detenuti da Israele. Ha poi respinto l’idea di evacuare il nord di Gaza e ha affermato che “Allah proteggerà i civili palestinesi in caso di invasione israeliana”. Infine, Mashal ha parlato di un tentativo di coesione tra le fazioni palestinesi, inclusa Fatah, per affrontare Israele. Non è chiaro quanto sia realistico o un wishful thinking. Ha anche risposto alle critiche sul fatto che i leader di Hamas come lui conducono la guerra dall’estero, affermando che sono comunque coinvolti nel campo di battaglia.

Il quadro delle dichiarazioni è già di per sé interessante, visto il ruolo che Mashal ha nell’organizzazione. Ancora più interessante è analizzare i messaggi contenuti nelle parole del leader palestinese e della giornalista. Chiaramente sorpreso dal ritmo incalzante delle domande di Nabil, Mashal ha risposto anche in parte di istinto, non abituato a ricevere questo genere di trattamento, soprattutto in arabo.

Una di queste domande ha messo in luce la mancanza di consultazioni con i Paesi arabi prima dell’operazione militare di Hamas, equiparandola a una sorta di dichiarazione di guerra. L’intervistatrice ha sottolineato: “Non hai consultato neanche i tuoi compagni palestinesi”. Questo è un elemento centrale della discussione. Mashal è stato messo in una condizione di apparente isolamento. E il leader di Hamas ha poi reagito visibilmente irritato quando gli è stato chiesto se condannasse le uccisioni di civili israeliani, suggerendo un ulteriore isolamento, visto che pur tenendo ambiguità su Israele, tutto il mondo arabo ha condannato la morte di innocenti.

Anche per questo, l’intervista sembrava strategicamente studiata e con il potenziale per rivelare la posizione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti sulla questione palestinese. Infatti, sebbene Riad e gli altri Paesi arabi abbiano lasciato (e in qualche modo spalleggiato) scorrere le reazioni anti-israeliane delle collettività, rimane una necessità fondamentale: sganciarsi da Hamas.

Un conto è infatti difendere la causa palestinese, come si fa in queste ore al Cairo, con la conferenza di pace organizzata dall’Egitto, un conto è sembrare fiancheggiatori di Hamas — che ormai nell’immaginario pubblico è definitivamente scarrellato dalla resistenza al terrorismo più brutale. Qui, nello specifico, che la giornalista araba abbia accomunato apertamente Hamas all’Is è sorprendente: l’intervista ha incluso il confronto tra le due organizzazioni, accusando anche Hamas di produrre simpatia per Israele, attaccata dalle bestie del terrore, e di aver provocato la risposta israeliana contro i civili.

Mashal era in imbarazzo anche quando è stato punzecchiato a riguardo del supporto da parte di Iran e Hezbollah, con una domanda diretta sul se l’Iran avesse soddisfatto le aspettative di Hamas.

Infine, è emersa una gaffe del leader di Hamas, in cui sembrava giustificare le vittime civili come una conseguenza naturale delle guerre: un argomento che era stato precedentemente utilizzato da Israele per giustificare l’uccisione di civili a Gaza. Anche da questo doppio standard anti-semitico le leadership arabe vogliono sfuggire, perché tra l’altro sono impegnate in dialoghi ecumenici e appelli per la fratellanza abramitica, come nel caso di Emirati e Baherein, due dei Paesi che hanno normalizzato le relazioni con Israele attraverso gli Accordi di Abramo.

E dunque, anche a proposito di questo, mettere in imbarazzo Mashal in diretta su al Arabiya è servito anche a mandare un messaggio di alto profilo — da parte di Riad e Abu Dhabi — sulle proprie volontà di sganciarsi dalla mondo della violenza e dunque apparire terzi nella volontà di proseguire i percorsi di normalizzazione con Israele?

E sul piano interno, dopo aver lasciato corda alle reazioni pregiudiziali e istintive delle collettività, è stato anche un richiamo per non esagerare? Ossia, è stato un richiamo delle leadership sulla guida del percorso strategico? Per quei regni, d’altronde, è tanto importante gestire gli equilibri interni quanto proiettarsi nel mondo superando visioni ideologiche passate.

Dall’intervista al leader di Hamas su al Arabiya passa la linea del Golfo su Israele

Su al Arabya, una giornalista mette in difficoltà il leader di Hamas Khaled Meshal. La clip, in arabo, preparata da un centro studi israeliano, sta circolando online e potrebbe essere parte di un piano strategico per delineare la posizione di Riad e Abu Dhabi sulla crisi in corso

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