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Il meccanismo ormai si è messo in moto, Parlamento e governo hanno ufficialmente aperto il cantiere della madre di tutte le riforme, quella fiscale. L’ambizione non manca e i tempi dell’esecutivo, che due mesi fa ha approvato la legge che delega il governo alla riforma, sono serrati. Si punta ad approvare la delega entro l’estate, per produrre i primi decreti legislativi entro fine 2023, e arrivare ai primi testi unici entro il 2024.

Nelle more, cominciano a emergere le prime indicazioni di quella piccola grande rivoluzione che nella testa del viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, promotore e supervisore della riforma, dovrebbe dare una spinta al Pil. Si va dai balzelli, come l’eliminazione del superbollo auto, fino alla revisione della tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziarie mai veramente digerita dalla Borsa, fino all’aumento della deducibilità per la previdenza complementare.

Tra le proposte allo studio anche la riduzione dell’Ires e l’abbassamento delle ritenute d’acconto per i lavoratori autonomi. Poi, i due capisaldi: il riassetto degli scaglioni Irpef e un uso strutturale e massiccio della flat tax. Prospettiva però che non convince tanto Bankitalia, per esempio. Formiche.net ne ha parlato con chi di fisco se ne intende, Vincenzo Visco, economista ed ex ministro delle Finanze.

Poche settimane fa il governo ha presentato la delega fiscale, embrione di una futura riforma del sistema tributario. Prime impressioni?

Trovo difficile individuare nella delega un orientamento o un indirizzo organico di riforma. L’obiettivo di fondo sembra essere quello di ridurre il carico fiscale per tutti i contribuenti, di semplificare il sistema e migliorare i rapporti tra fisco e contribuenti, cosa non semplice se si tiene presente la natura intrinsecamente coercitiva del fenomeno tributario nel cui esercizio si manifesta in modo esplicito e radicale la sovranità dello Stato.

Non mi dirà che tentare di ridurre le tasse non è un obiettivo sacrosanto…

Guardi, l’ipotesi di una generale riduzione delle imposte, escludendo che in alcuni casi, o per alcuni contribuenti, esse possano aumentare nonostante la riduzione complessiva, fa sì che le eventuali distorsioni e sperequazioni esistenti permangano anche dopo l’intervento riformatore.

Il fisco secondo Vincenzo Visco.

Un sistema fiscale è, dovrebbe essere, un insieme coerente e coordinato di prelievi, istituti, prescrizioni e procedure, basato su principi economici chiari, e costruito in modo da ottenere il gettito desiderato nella maniera più efficiente possibile, minimizzando i costi amministrativi e le distorsioni economiche. Esso dovrebbe essere costruito secondo un assetto semplice e trasparente, evitando ogni discriminazione arbitraria tra i contribuenti. Se si guarda ai sistemi fiscali reali, probabilmente non molti presentano le caratteristiche desiderate, e certamente non quello italiano.

Nella sua recente audizione, proprio sulla delega fiscale, Bankitalia ha detto di fare attenzione alla flat tax. Una buccia di banana?

La flat tax vuol dire una riduzione drastica del gettito da imposta sul reddito. Dunque o uno taglia il welfare oppure i conti non tornano. I Paesi che ne fanno uso, bisognerebbe ricordarsene, hanno un livello di spesa pubblica decisamente più basso di quello italiano. Ci sarebbe una penalizzazione per i ceti medi, c’è un problema di incompatibilità con il nostro sistema di welfare.

Insomma, la tassa piatta va maneggiata con cura. O forse è davvero poco realistica, come dice Bankitalia.

Nella delega si continua ad indicare la flat tax come obiettivo di fondo della riforma la cui attuazione completa viene tuttavia rinviata a fine legislatura date le ovvie difficoltà di copertura. Nel frattempo, si estenderebbe la flat tax incrementale anche ai lavoratori dipendenti e pensionati, con la ovvia penalizzazione di questi ultimi che non beneficiano di aumenti contrattuali, ma solo di limitati adeguamenti all’inflazione.

Un altro caposaldo, Visco, è il riassetto degli scaglioni Irpef. Le che dice?

Si tratta di un appiattimento, che costa 10 miliardi. Il numero delle aliquote potrebbe scendere a tre o a due. In proposito mi limito a far presente che qualsiasi appiattimento delle aliquote, intesa come riduzione del loro numero e allargamento degli scaglioni, ha l’effetto di trasferire, a parità di gettito, il prelievo dai contribuenti più ricchi al ceto medio che oggi, non a caso, appare il più tartassato. Vede, il problema è che si continua a dire che tagliando le tasse si cresce di più. Ma non è necessariamente vero, dipende da come lo si fa.

La strada è in salita per il governo?

La strada è in salita per qualunque governo. Ridurre la pressione fiscale in un Paese come l’Italia con problemi di bassa crescita, e alti livelli di debito non sembra agevole e probabilmente non risulterà possibile, a meno di non volere ridurre drasticamente le spese per sanità, istruzione, assistenza, ecc., trasferendole in parte rilevante sui privati. L’alternativa sarebbe  quella di riorganizzare e redistribuire il prelievo tra i contribuenti riducendolo per alcuni ed aumentandolo per altri, ed affrontando eventuali rischi di impopolarità.

Parliamo di crescita. Il Pil dell’Italia va meglio di Francia e Germania. Lo dice l’Europa.

Anche qui occhio alla mezze verità. L’Italia sembra che vada meglio, ma semplicemente perché essendo crollata più degli altri, il rimbalzo appare più evidente e marcato. Cresciamo come gli altri, solo che ci sembra che andiamo più veloce, è un’illusione ottica.

Magari con il nuovo Patto di stabilità il nostro Paese carburerà più di quanto non stia facendo…

La svolta, piccolina, c’è. Ma il problema di fondo è quello di passare a una golden rule, sganciando certi investimenti, quelli strategici e per la crescita, dal calcolo per il deficit. E qui mi pare che il ministro dell’Economia Giorgetti abbia perfettamente ragione.

Flat tax e Irpef, attenti a non sognare troppo. Il taccuino di Vincenzo Visco

Intervista all’ex ministro delle Finanze. La tassa piatta funziona se la spesa pubblica è bassa e in Italia non lo è. Il Paese cresce, ma era caduto più di Francia e Germania durante la recessione pandemica. Il Patto di stabilità? Giorgetti ha ragione, la golden rule sugli investimenti è la vera svolta​

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