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La riunione tra russi e ucraini mediata dagli americani; l’incontro con i più importanti leader arabi per discutere del “Piano Trump per Gaza. Tra oggi e giovedì, un giorno dopo l’altro, i due grandi dossier che hanno caratterizzato negli ultimi anni gli affari internazionali passano dall’Arabia Saudita. Il regno dei Saud ospita incontri forte di una posizione di multi allineamento, con cui si prepara alla costruzione di un mondo multipolare. Riad intende essere un polo di riferimento certo per il mondo arabo-islamico. L’arrivo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ad Ankara sembra quasi un bilanciamento nella competizione interna di lunga data. Prima di arrivare in Turchia, Zelensky è passato dagli Emirati Arabi Uniti, storici alleati dell’Arabia Saudita. Tuttavia, Abu Dhabi cerca sempre di diversificare le proprie relazioni per evitare di essere fagocitata dal regno.

Il tavolo di negoziazione saudita è ottimo perché in questo momento Riad è un player internazionale riconoscibile. Partner di Mosca nel sistema Opec+ (con il petrolio ancora cruciale per il mondo, nonostante i progetti di transizione energetica), alleato solidissimo degli Stati Uniti, e attore cruciale per il Medio Oriente non solo per ragioni culturali, religiose e demografiche, ma anche perché senza una normalizzazione tra il regno e Israele la regione non sarà mai stabile. E adesso quella normalizzazione dipende da Gaza, il cui destino dipende a sua volta da interpretazioni e azioni del Piano Trump. Se sulla mediazione per una pace giusta in Ucraina l’Arabia Saudita può avere un ruolo relativo, sulla questione di Gaza (e dunque del Medio Oriente) è più centrale. In entrambi i macro-dossier può essere fondamentale per la ricostruzione, ma mentre in Ucraina può facilitare investimenti economici, su Gaza ha anche un ruolo di ricostruttore politico-sociale. La posizione saudita conta per costruire gli equilibri futuri, dunque.

La proposta di Trump di far “prendere” Gaza agli Stati Uniti e di spostare con la forza oltre due milioni di palestinesi — suggerendo l’Egitto e la Giordania come siti di trasferimento — ha provocato la condanna internazionale ed è stata definita “fantasia” da Turki al Faisal, star dei diplomatici di Riad e nipote del fondatore dell’Arabia Saudita, Re Abdulaziz. Il piano, annunciato durante la visita del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a Washington, ha unito gli Stati arabi in una rara opposizione compatta agli Usa, con l’Arabia Saudita e altri che ribadiscono il loro sostegno a uno stato palestinese. Questa posizione è un elemento indispensabile per non tradire il patto sociale che il leader saudita, l’erede al trono Mohammed bin Salman, ha fatto con la sua collettività — che per quanto giovanissima e nutrita dall’ambizione di abbandonare le parti più rigide delle tradizioni, su certe questioni ancora non può essere eccessivamente forzata.

E così a Riad si anticipa (o si prepara) la riunione della Lega Araba che ci sarà nella sede istituzionale del Cairo la prossima settimana. Si prenderanno decisioni importanti, anche perché Trump non sembra intenzionato a tornare indietro sulla sua proposta per la Striscia, e dunque pressa i partner regionali a muoversi in avanti concretamente. Nello stesso momento, sempre nella capitale saudita, Marco Rubio incontra Sergei Lavrov, ossia i capi della diplomazia di Usa e Russia tornano a parlarsi per la prima volta dopo tre anni dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. È il momento più importante degli affari internazionali correnti, perché coinvolge non solo russi e americani, ma anche gli europei — che si sentono esclusi — e Cina, India, Giappone: tutte potenze che guardano con estremo interesse ciò che accade in Arabia Saudita.

(Foto: X, @KSAmofaEN)

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