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Mercoledì la Cina si è scagliata contro l’indagine lanciata a settembre dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sull’“invasione” delle auto elettriche cinesi nel mercato europeo. Allo stato attuale Bruxelles si è solo ripromessa di avviare in tempi “molto brevi” le consultazioni tra gli stakeholder – aziende e istituzioni nazionali dell’Ue. Ci si aspetta che l’indagine si protragga almeno fino alla primavera del 2024, ma è possibile che l’Ue decida in seguito di imporre tariffe per proteggere il mercato europeo dalle sovvenzioni cinesi.

La cosa non va affatto giù a Pechino. Racconta Reuters che la Cina si sia detta “molto insoddisfatta” dell’indagine antisovvenzioni, in quanto “priva di prove adeguate” e “non conforme alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio”, secondo quanto dichiarato dal ministero del Commercio in un comunicato. Il Celeste Impero lamenta anche di non aver “ricevuto un adeguato materiale di consultazione” e avverte che “presterà molta attenzione alle procedure di indagine della Commissione” per salvaguardare i diritti e gli interessi delle sue imprese. Del resto, aveva già minacciato ritorsioni poco dopo l’annuncio di von der Leyen.

L’invito del dicastero cinese all’Unione europea è quello di proteggere la stabilità della catena di approvvigionamento globale e il partenariato strategico, applicando “prudentemente” eventuali rimedi commerciali. Ma Pechino glissa sulle ragioni delle preoccupazioni europee, e cioè che gli aiuti statali cinesi – nella forma di sussidi, prestiti da parte di banche statali a condizioni preferenziali, riduzioni fiscali, sconti, esenzioni e fornitura statale di beni o servizi, come materie prime e componenti, a prezzi inferiori a quelli adeguati – distorcano la competizione nel mercato europeo.

I dati già in mano alla Commissione (che peraltro ha invitato la Cina alle consultazioni) sembrano indicare che i produttori cinesi di auto elettriche siano regolarmente avvantaggiati rispetto a quelli europei. Questo spiega almeno parzialmente perché la quota cinese di veicoli elettrici venduti in Europa è salita all’8% e potrebbe raggiungere il 15% nel 2025, stando a Bruxelles. E qui si innesta il secondo grado di preoccupazione europeo, di ordine strategico: la quota crescente di mercato aumenta la superficie d’attacco, qualora la Cina decidesse di utilizzare le leve economiche a sua disposizione per flettere la volontà europea.

Fa specie considerare che Pechino lavori da decenni per non trovarsi nella situazione che oggi spaventa l’Europa, applicando olisticamente il concetto di de-risking a partire dagli anni Ottanta – molto prima che l’idea emergesse in Ue. In parallelo ha aumentato la presa su certi settori chiave (come l’accesso alle materie prime e la raffinazione) per consentire alle aziende cinesi di conquistare anche i mercati esteri. La Cina spende miliardi di yuan per diventare la superpotenza mondiale delle batterie dal 2009, ricorda Politico, e da allora ha acquisito un controllo eccezionale sull’intera filiera, dalle materie prime al prodotto finito, foraggiando una generazione di nuovi brand di auto a batteria che oggi espongono di fianco agli storici marchi del motore a combustione nei più prestigiosi saloni automobilistici.

Il succo è che la Cina si è mossa ben prima dell’Ue e l’ha fatto meglio, costruendo un vantaggio che difficilmente si può pensare di affrontare senza ricorrere a dei correttivi commerciali. Normale, dunque, che Pechino abbia reagito così duramente alla prospettiva di dazi sulle sue auto elettriche. Ma il momento è critico, dato che gli obiettivi europei prevedono di accelerare la transizione ecologica mettendo a bando la vendita di nuove auto con motore endotermico al 2035. Per passare all’elettrico servono auto in quantità e a prezzi competitivi, la Cina è già posizionata per essere il fornitore d’eccellenza, e non assisterà senza reagire all’imposizione di tariffe: l’Europa è in condizioni di affrontare una guerra commerciale?

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