Skip to main content

Arriva dall’Italia, per mano del sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, la richiesta di sospendere i piani dell’Unione europea per introdurre una ripartizione dei costi di uso della rete tra gli operatori di telecomunicazione e i fornitori di contenuti online.

Il sottosegretario aveva scritto il 4 agosto alla Commissione segnalando il rischio che la “tassa su internet” crei “un circolo vizioso di prezzi più alti, domanda più bassa, meno scelta e meno utilizzo a scapito di tutti operatori del mercato e consumatori”, chiedendo quindi all’esecutivo comunitario ulteriori approfondimenti su una proposta giudicata allo stato “prematura”. La Commissione europea non ha commentato, per il momento.

Giorgio Rutelli ne aveva parlato sull’ultimo numero della Rivista Formiche. Ecco la sua analisi.

Cosa c’è in un nome? Senza citare Shakespeare, o Nanni Moretti (“le parole sono importanti”), basterebbe parlare con uno studente di Marketing al primo anno per capire che il branding vale già un bel pezzo del lavoro. E nel dibattito sul contributo economico che le grandi piattaforme tecnologiche dovrebbero versare alle società di telecomunicazioni per sostenere lo sviluppo delle loro infrastrutture, si parte proprio dal nome.

Le telco lo chiamano fair contribution o fair share, la giusta quota, per dire che le grandi società che producono o aggregano contenuti (Netflix, Dazn, Google, Meta, Amazon, TikTok eccetera) e che occupano una grossa fetta della “banda” globale, dovrebbero fare la loro parte in uno sforzo che al momento sarebbe solo in capo a chi quel content lo veicola e lo fa arrivare nelle case, negli uffici, e sui nostri schermi di varie dimensioni.

Chi mai si opporrebbe a qualcosa che ha “equo” come aggettivo? Dall’altra parte, le big tech – non tutte, ma la definizione non dispiace – la chiamano Internet tax, un prelievo, un balzello (che per definizione è sgradito) su qualcosa che tutti consideriamo libero e aperto, e che finirebbe per pesare sui consumatori.

Nato con l’obiettivo di rivalersi, se non proprio di vendicarsi, del successo di un gruppo di società innovative che sono cresciute in modo vertiginoso mentre le telco vedevano ricavi e (soprattutto) margini sgretolarsi. Per ragioni, dicono nella Silicon Valley, che non dipendono da loro: scelte strategiche sbagliate, salassi governativi nelle aste 4G e 5G, concorrenza scriteriata e limiti alle fusioni imposti dalle authority nazionali ed europee.

Le società tecnologiche hanno poi due obiezioni: primo, stanno investendo decine di miliardi in cavi, centri dati, e in generale sulle infrastrutture che migliorano la qualità della rete globale; secondo, i loro contenuti saranno anche un “peso” ma senza di quelli gli utenti non chiederebbero di passare alle reti ad alta velocità.

La questione è lontana dall’essere risolta, per questo su Formiche.net abbiamo voluto lanciare un dibattito, a partire proprio dalla domanda se si tratti di una giusta quota o di una tassa su Internet, che ha coinvolto tutti gli attori in campo: telco, big tech, accademici, esperti, associazioni. La risposta è stata ampia e variegata.

L’idea di una contribution – l’aggettivo sceglietelo voi – come molte di quelle che in questi anni hanno fatto drizzare i capelli (e le antenne) sull’altra sponda dell’Atlantico, arriva da Bruxelles ed è sostenuta da Thierry Breton, commissario al Mercato interno e già capo di France Télécom-Orange, e Margrethe Vestager, commissaria alla Concorrenza nota per le sue battaglie contro il potere straripante delle società tecnologiche americane.

La proposta entrerà nel vivo in autunno, forse già nel Consiglio Ue di ottobre, e avrà poche settimane per essere definita: la IX legislatura del Parlamento, e con lei il mandato della Commissione, volge al termine, dopo Natale si entrerà in campagna elettorale e tra il 6 e il 9 giugno 2024 si voterà nei 27 Stati membri.

Non c’è alcun limite formale al potere legislativo europeo nel semestre che precede le elezioni, ma c’è sicuramente un fattore politico: saranno i singoli commissari a decidere quali dossier portare a termine e quali lasciare a chi verrà dopo. Tutto dipende, inevitabilmente, dal prestigio di cui si gode ancora nelle istituzioni, dalle ambizioni personali, dalle dinamiche nazionali.

A proposito, qual è la posizione del governo italiano? Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alessio Butti, che ha le deleghe all’innovazione e alla trasformazione digitale, quando era all’opposizione aveva organizzato i seminari di Fratelli d’Italia in cui si affrontava la crisi delle telco e si immaginavano possibili soluzioni, tra cui il fair share.

Dopo le audizioni conoscitive che si sono svolte nell’arco di quest’anno, predica cautela e definisce “prematura” l’accelerazione sulla proposta. L’azione della Commissione europea – ha detto Butti in un paio di occasioni pubbliche – dovrà essere sostenuta da dati e numeri convincenti, il rapporto tra piattaforme e telco è “equilibrato”, gli investimenti nel settore non mancano e un prelievo sulle big tech potrebbe scatenare un circolo vizioso che farebbe crescere i prezzi per gli utenti deprimendo la domanda.

*L’articolo è stato pubblicato sul numero 194 della rivista Formiche

Butti scrive all'Ue. Ecco la posizione italiana sul fair share

L’idea di una contribution, come molte di quelle che in questi anni hanno fatto drizzare i capelli sull’altra sponda dell’Atlantico, arriva da Bruxelles ed è sostenuta da Thierry Breton e Margrethe Vestager. Proprio a loro arriva la lettera del sottosegretario Butti che chiarisce la posizione italiana. L’analisi di Giorgio Rutelli, direttore responsabile di Formiche.net

Sfide comuni tra Italia e Africa. Tajani contro il neo-colonialismo

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, spiega alla platea del panel del Meeting di Rimini “Le nostre comuni sfide con l’Africa” l’impegno del governo italiano verso il continente africano

Sviluppo tech, ma cinese. Ai talebani la tecnologia di sorveglianza Huawei

Sviluppo tech, ma cinese. Ai talebani la tecnologia di sorveglianza Huawei

Il titano delle telecomunicazioni ha accettato di aiutare il regime integralista islamico a installare sistemi di sorveglianza avanzati in tutte le province dell’Afghanistan. Pechino guadagna più volti per i suoi algoritmi di riconoscimento facciale e un altro tecno-regime con caratteristiche cinesi. La parabola dello sviluppo tecnologico secondo Xi

Col vecchio Patto di stabilità perdono tutti, anche Francia e Germania. La versione di Cipolletta

Intervista all’economista, già presidente di Assonime. Tornare alle regole di una volta sarebbe controproducente, soprattutto ora che tutto il continente ha bisogno di investire. Ma Palazzo Chigi non si illuda, anche con vincoli più soft il debito andrà ridotto. Attenti a pensare solo alle tasse in manovra. La Bce? Si fermerà a fine anno

Ecco a che punto è la gara tra Usa e Cina per militarizzare l'IA

Quello militare è uno degli aspetti principali nella competizione tecnologica tra Washington e Pechino, competizione in cui l’IA svolge un ruolo da protagonista. Tra investimenti massicci e progressi sostanziali, i due attori globali cercano di arrivare al traguardo prima dell’avversario

Banche o mattone? Il nuovo dilemma cinese

Pechino sta cercando di mantenere il costo del denaro fermo, quando non lo abbassa, per rianimare il mercato immobiliare. Ma così facendo si comprimono i già ridotti margini degli istituti. E la questione finisce dritta sul tavolo del partito

Niente paura a destra. FdI ha dinamiche simili alla Dc (ed è un bene). Parla Mazza

Il ministro Crosetto ha dimostrato che il governo di centrodestra riesce a reggere allo stress-test. Tra Donzelli e il titolare della Difesa le posizioni non sono inconciliabili: sono il frutto di una dialettica interna di un partito che sta crescendo. Conversazione con il giornalista e scrittore Mauro Mazza

Brics, per l'assalto all'Occidente c'è ancora da attendere. Il commento dell'amb. Castellaneta

Il gruppo dei Brics va certamente seguito con attenzione, anche perché ci sono oltre 20 Paesi che hanno chiesto di farne parte. Tuttavia, le differenze e divergenze tra gli attuali membri sono eccessive al punto da considerare premature iniziative di integrazione economica e finanziaria. Il commento di Giovanni Castellaneta

Perché le banche non sono credibili nella polemica con il governo. L'analisi di Polillo

La Banca d’Italia doveva intervenire prima e convincere gli istituti a retribuire, in misura equa, i conti correnti. O almeno far sì che le principali banche non facessero cartello. Il ritardo ha finito per compromettere le soluzioni successive. Per cui alla fine al governo non è rimasto altro che intervenire con uno strumento pesante, come quello della tassazione. Il commento di Gianfranco Polillo

Settimana di manovre militari nel Mar Cinese

Di Gaia Ravazzolo e Emanuele Rossi

Esercitazioni congiunte di Cina e Russia da un lato, e Usa, Giappone e Australia dall’altro. Il Mar Cinese in questi giorni è pieno di navi da guerra, mentre tensioni esplodono tra Pechino, Hanoi e Manila

×

Iscriviti alla newsletter