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C’è il Mediterraneo (e quindi la direttrice africana) nella prima volta da premier di Giorgia Meloni all’Onu, non solo occasione di spiegare come l’Italia intende affrontare le nuove e le vecchie sfide, ma soprattutto di sottolineare il ruolo peculiare del continente nero “geopoliticamente” incastonato in questo preciso momento. Le emergenze legate ai flussi migratori si sono trasformate in consuetudine, stando ai numeri del primo semestre di quest’anno, e il dato di Lampedusa è lì a dimostrarlo.

Il premier ha assicurato che non permetterà la trasformazione dell’Italia in un campo profughi, proprio mentre l’isola tra Sicilia e Libia assomiglia sempre più all’isola greca di Lesbo, che cinque anni fa assunse lo status di lazzaretto d’Europa.

In questo senso vanno letti i proficui incontri che il premier ha tenuto con i presidenti di Guinea Bissau, Senegal e Kenya a New York, rispettivamente Umaro Sissoco Embalo, Macky Sall e William Samoei Ruto, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Le sfide comuni con questi paesi si sintetizzano nel sostegno allo sviluppo di questi territori, un tema “cruciale in questo momento storico”, che la presidente del Consiglio ha voluto portare all’Onu, “organizzazione internazionale simbolo del confronto democratico”.

Il punto comune fra queste interlocuzioni va individuato nella volontà di fermare il business degli scafisti promuovendo lo sviluppo economico di questi territori, mediante la pianificazione e la realizzazione congiunta di iniziative in settori strategici. Le risorse naturali rappresentano un punto di partenza progettuale concreto, legato a doppia mandata alla mission che ha dato vita al Piano Mattei del governo Meloni, che verrà presentato nelle prossime settimane.

La tappa nel palazzo di Vetro, dunque, come visione d’insieme e, al contempo, specifica sull’area africana che è dentro quella mediterranea (e quindi europea): è questo il passaggio, se vogliamo anche culturale, che il premier vorrà cerchiare in rosso nel suo intervento di domani, quando metterà nero su bianco che un tema epocale come quello dei migranti dall’Africa necessita di un’analisi a monte, che poi sfoci in un’iniziativa altrettanto epocale, con il coinvolgimento massiccio delle istituzioni europee. Non è un caso che proprio nei giorni precedenti all’assemblea delle Nazioni Unite si siano ascoltate parole ‘diverse’, come quelle di Borrell sulla Tunisia, rispetto al medesimo schema andato in scena con la Turchia di Erdogan e i profughi siriani. Era il 2016 e Bruxelles concluse un accordo simbolico con Ankara al fine di evitare un collasso sociale, dato dalla guerra in Siria.

Oggi, tramite gli spunti del Piano Mattei, si presenta la possibilità di offrire un contributo all’Africa, sia con il coinvolgimento delle aziende italiane, sia delle istituzioni finanziarie internazionali che “svolgono un ruolo cruciale”. È il cambio di approccio al centro del messaggio da rivolgere con forza alla comunità internazionale.

Momenti di ampia riflessione che si pongono nel solco del dialogo avviato da Meloni sin dal suo insediamento con i leader africani: a Palazzo Chigi infatti negli ultimi dieci mesi sono stati ricevuti tra gli altri il premier libico Abdel Hamid al-Dabaiba, il presidente angolano João Manuel Gonçalves Lourenço, il presidente del Kurdistan Bazani, il Primo Ministro della Repubblica libanese Najib Mikati, il Presidente della Repubblica Federale di Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, il Primo Ministro della Repubblica Federale e Democratica dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali (e il premier maltese).

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Fiori a Colombo per preservare i simboli che la cancel culture vuole abbattere, rassicurazioni sul ruolo italiano (no a un campo profughi di tutta l’Europa), incontri con Kenya e Guinea (in ottica sbarchi) ed Erdogan (in ottica geopolitica). La prima giornata di Giorgia Meloni all’Onu in attesa del discorso di domani. La tappa nel palazzo di Vetro come visione d’insieme e, al contempo, specifica sull’area africana che è dentro quella mediterranea (e quindi europea)

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