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La figura dell’assistente religioso, da sempre presente nel panorama sanitario nazionale, è spesso al centro del dibattito pubblico che si divide tra chi invoca una sua riscoperta e valorizzazione e chi, invece, ritiene che si tratti di un’ulteriore gabella imposta dalla Chiesa allo Stato italiano. Proprio la recente pandemia ha riportato la questione alla ribalta: in un periodo di profondo sconforto e di estrema solitudine dei malati derivante dalle restrizioni poste anche nei luoghi di cura, molti hanno riscoperto l’importanza dell’assistente religioso nei reparti ospedalieri, del suo contributo al processo di guarigione e del ruolo decisivo svolto nell’accompagnamento alla morte. Altri, invece, proprio in ragione dell’emergenza sanitaria, hanno enfatizzato ancora di più l’opportunità di un miglior impiego delle risorse da parte delle Regioni, suggerendo di destinarle alla contrattualizzazione di ulteriori figure sanitarie, invece di continuare a spenderle per una figura reputata anacronistica. Il presente contributo, pur non volendo intervenire nell’accennato dibattito, intende ripercorrere la vigente normativa sanitaria per ricostruire il ruolo dell’assistente religioso all’interno delle strutture di ricovero, la sua legittimazione e la disciplina applicabile al relativo rapporto di lavoro.

Le riforme ospedaliere e di istituzione del Servizio sanitario nazionale intervenute nella seconda metà del ’900 hanno, infatti, inserito a pieno titolo il servizio di assistenza religiosa tra quelli ospedalieri, senza mai intervenire nel merito della sua disciplina, che è sempre stata rimessa a specifici accordi tra autorità italiane ed ecclesiastiche. L’Accordo tra Repubblica Italiana e Santa Sede del 1984 e la riforma del Titolo V della Costituzione hanno, poi, contribuito ad una “regionalizzazione” della materia che ha aumentato la complessità del quadro di riferimento. L’organizzazione del servizio di assistenza religiosa nelle strutture di ricovero si è, infatti, sviluppata in maniera differenziata tra le Regioni italiane, creando un mosaico di normative e disposizioni, spesso di difficile ricostruzione. A fronte di una normativa nazionale che include espressamente l’assistente religioso tra il personale di ruolo del Ssn e che impone, pertanto, l’assunzione di tale figura (con conseguente applicazione di tutte le disposizioni normative e contrattuali che disciplinano il rapporto di lavoro del personale del comparto sanità) si è assistito ad un proliferare di alternative alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato (contratti di collaborazione coordinata e continuativa, “convenzioni” per la fornitura del servizio di assistenza religiosa) che non trovano il loro fondamento nell’attuale quadro normativo e che sono foriere di innumerevoli contenziosi. La “regionalizzazione” della disciplina ha inciso anche sull’individuazione dei soggetti che possono legittimamente ricoprire il ruolo di assistente religioso, con la conseguenza che uno stesso soggetto potrebbe rivestire il ruolo di assistente religioso ai sensi della disciplina vigente in una regione italiana, ma non per quella presente in un’altra.

Vi sono, infatti, intese regionali che hanno limitato tale ruolo solo ai sacerdoti (facendo coincidere l’assistente religioso con il cappellano) e altre che hanno, invece, esteso anche ad altri religiosi/e e ai diaconi permanenti tale possibilità, sulla scorta di una diversa interpretazione del termine “ecclesiastici” contenuta nell’art. 11 dell’Accordo tra Repubblica Italiana e Santa Sede del 1984. L’assenza di una disciplina nazionale ha influito, inoltre, sulla determinazione dei requisiti e sul ruolo dell’assistente religioso che, essendo rimesse alle intese regionali, ha finito per sfociare in differenze a livello locale che incidono, inevitabilmente, anche sulla qualità del servizio offerto. Scopo del presente contributo è, dunque, quello di delineare il quadro normativo vigente facendo emergere non solo la complessità e delicatezza della figura dell’assistente religioso nelle strutture sanitarie, ma anche le criticità determinate dalle decisioni assunte a livello locale, che non sempre si pongono nel solco tracciato dal legislatore nazionale. L’auspicio è quello di fornire a coloro i quali sono direttamente coinvolti nella disciplina della materia un (si spera) utile supporto, sia nel reperimento della regolamentazione applicabile, sia nel prevenire o gestire tutti gli aspetti che sono spesso fonte di contenzioso o che rischiano di vanificare la ratio di tale presenza e di tale servizio nei luoghi di ricovero.

A tal fine, alla ricognizione della normativa nazionale è stata affiancata anche quella delle diverse regolamentazioni locali, così da rendere facilmente individuabile la disciplina di volta in volta applicabile. Nei capitoli finali sono state esaminate, invece, le principali criticità nascenti (il più delle volte) dalla differente regolamentazione adottata a livello locale e, affinché l’intero lavoro possa offrire un contributo concreto, sono stati focalizzati gli elementi sui quali sarebbe utile l’adozione di una disciplina unitaria a livello nazionale (requisiti, formazione, ruolo e contrattualizzazione dell’assistente sanitario) ed è stato proposto – in appendice – uno schema tipo di Protocollo di Intesa e di annessa convenzione, in cui sono sintetizzati gli aspetti che potrebbero assicurare un nucleo minimo di tutele e di uniformità del servizio sull’intero territorio nazionale.

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