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Uno strano Paese il nostro; gli studenti protestano per il caro affitti per frequentare l’università e la politica o la butta in propaganda o addirittura si lascia andare a ramanzine fuori luogo criticandoli. Eppure i giovani universitari hanno posto un tema vero e grande la cui soluzione riguarda due aspetti assai consistenti: il costo molto impegnativo per le famiglie dei fuori sede universitari; le ricadute pesanti che questo disagio ha sulle loro decisioni di appoggiare o no i loro giovani agli studi.

Fatto è che gli affitti del privato nelle città universitarie sono spesso inaccessibili a causa della grave carenza di residenze universitarie organizzate dal sistema pubblico. E infatti la popolazione universitaria in Italia conta almeno 500 mila fuori sede, mentre gli alloggi del sistema pubblico dedicati per gli studenti a vario titolo disponibili, ammontano a poco più che 50 mila: appena il 10% del fabbisogno, nonostante buona parte di questi siano stati finanziati dal Pnrr. Se poi dovessimo fare il confronto con i tedeschi e francesi dovremmo arrossire per la vergogna. Essi dispongono di alloggi per giovani studenti circa sette volte in più di noi; il Regno Unito 12 volte in più. Una tra le altre spiegazioni del perché in Europa siamo penultimi per numero di laureati, davanti solo alla Romania.

In Italia i lavoratori laureati sono 20 su 100, in Spagna e Francia 40 su 100, in Germania 30 su 100. Insomma un naufragio annunciato della nave Italia, se a questa evidente debolezza si aggiungono il debito sempre più alto è una crisi demografica che ci vede alle ultimissime classifiche europee e mondiali per scarsissima prolificita. È evidente che un Paese come il nostro, in questa fase di grandi riposizionamenti della divisione internazionale del lavoro, pagherà in prospettiva un prezzo molto alto per tali ritardi.

Infatti ormai da molto tempo ci pesa la sensibile differenza tra alte qualificazioni necessarie alle nostre attività economiche e quelle assai ridotte di cui possiamo disporre. Sembra non interessare a nessuno l’idea che la crescita economica, l’occupazione, il benessere dell’intero Paese, dipenderà in buona parte dagli studi nelle accademie dei giovani, per contribuire alla nascita di nuove start up ed innovazione tecnologica per rafforzare efficienza e competitività nelle industrie e dei servizi con la qualità dei prodotti.

Il presidente Giorgia Meloni incontrerà a fine mese le organizzazioni sindacali su inflazione, delega fiscale, sicurezza del lavoro, pensioni, ed è una buona notizia se si potesse ottenere buona volontà e coesione per affrontare i tanti temi necessari all’Italia che lavora. E sarebbe straordinariamente positivo se si potesse aprire una fase nuova di confronto e collaborazione tra governo e sindacati per condividere linee guida utili a tutte le istituzioni che hanno responsabilità sulla difficile condizione universitaria italiana. Ad esempio si potrebbe contribuire a liberare le numerose pastoie e carenze che ostacolano l’efficienza e modernità della nostra millenaria e prima università del mondo, attualmente in decadenza.

È questa una esigenza primaria per l’avvenire delle giovani generazioni, e dunque dell’Italia e del suo sviluppo. Rompere i corporativismi per incentivare e sviluppare la ricerca, rafforzare percorsi di eccellenza a sostegno delle produzioni, agevolazioni per gli studenti fuori sede, sviluppo della telematica per la formazione Universitaria e post universitaria dei lavoratori. Ottenere questi risultati di base, farà molto bene all’Italia. Raggiungere nel nostro Paese queste mete, pur essendo normali in altre nazioni, potrà essere una vera svolta. Ma qui sta il punto. La sfida è quella di conquistare la normalità.

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