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La rivista Formiche, prima delle vacanze estive, ha pubblicato un’intervento in cui il sottosegretario Alfredo Mantovano, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, ha indicato, tra le varie possibilità di riforma del comparto intelligence nazionale, una “revisione” che assegni un maggior ruolo, rispetto al passato, al settore economico e finanziario. Traendo spunto dal citato scritto, edin linea con l’intento di “ipotizzare” nuovi percorsi e nuove strutture per l’intelligence nazionale, desidero svolgere alcune considerazioni su quello che, secondo il mio modo di vedere, costituisce un elemento di grande distinzione per un moderno servizio di intelligence, ossia la pianificazione e la strategia operativa della propria attività.

Oggi e fino ad oggi, e forse anche domani, l’indirizzo operativo e strategico del comparto intelligence compete alla Presidenza del Consiglio e al presidente suo stesso, il quale normalmente delega le sue competenze ad apposito ufficio del sottosegretario alla Presidenza. Brevemente riassumo: la legge numero 124 del 2007 ha istituito il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Gli organi che compongono la struttura di governo e di indirizzo strategico del Sistemasono il presidente del Consiglio, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica e l’Autorità̀ delegata. La riforma del 2007 si innesta quindi sul percorso di accentramento delle funzioni di governo dell’intelligence avviato dalla legge 801 del 1977, attribuendo al presidente del Consiglio i poteri di indirizzo politico e amministrativo. È evidente che l’indirizzo “politico” che un governo (monocolore o di coalizione) può dare all’azione di intelligence del Paese è totale.

Ed è proprio questo, secondo me, il punto in discussione: a mio modesto modo di vedere, la strategia che orienta o che dovrebbe orientare un moderno servizio di intelligence deve necessariamente essere svincolato dal vizio di fondo dell’ideologia politica che sostiene il governo di turno. In una parola, la competenza dell’indirizzo strategico e operativo dei servizi di intelligence dovrebbe risiedere nell’ambito della Presidenza della Repubblica, specie e soprattutto per quelli che sono e devono essere i capisaldi di indirizzo nazionale così come lo sono i principi cardine dell’orientamento democratico e internazionale del Paese.

L’attività di intelligence, per sua natura intrinseca, richiede punti fermi e obiettivi strategici da sviluppare nel medio e lungo termine; di contro, la politica (quella che viene sostenuta dai presidenti del Consiglio e dai suoi ministri), necessita di “current”, ovvero di operatività immediatamente spendibile, spesso per motivi legati al consenso. La assoluta instabilità politica che troppo spesso ci ha abituato ad avere governi di breve legislatura non consente, quindi, di delineare strategie di intelligence che, come noto, “contribuiscono alla definizione degli indirizzi per la stabilità, la crescita e lo sviluppo del Paese”.

Oggi si chiama in campo l’intelligence per interventi dettati dalla contingenza, e questo non è di per se un problema; ma lo diventa se l’intelligence è solo “current”. Serve l’intelligence “current” per fornire risposte rapide a situazioni cogenti e contigenti. Ma la normalità vorrebbe che quella situazione, che oggi esige una risposta rapida, dovrebbe essere già stata vagliata, soppesata, valutata nel suo grado di incidenza sul sistema di sicurezza del Paese (a 360 gradi) da una intelligence di medio lungo periodo, in cui gli scenari si ipotizzano “prima”, grazie a ricerca ed analisi di intelligence che seguono indirizzi precisi con una valenza strategica per il benessere del Paese e dei suoi cittadini.

Un esempio palese di quanto sostenuto lo abbiamo oggi sulla vicenda della adesione italiana alla cosiddetta Via della Seta, accordo che l’Italia ha sottoscritto (Governo gonte) e che oggi a distanza di due anni un altro governo (Meloni) vede con una valutazione diversa dal suo predecessore. La strategia su temi di politica economica internazionale non può e non deve essere il frutto di una valutazione dettata dalla corrente politica che in un dato momento si trova a governare. Senza voler entrare nel merito se sia bene o male aderire a questo accordo, risulta evidente che, specie nei confronti di “giganti” mondiali come la Cina, l’indirizzo deve essere univoco e non suscettibile di valutazioni temporanee.

Un altro esempio è quello che riguarda l’adozione di misure per il contenimento di partecipazioni di capitali stranieri in società strategiche nazionali. Per anni abbiamo consentito ai francesi e non solo a loro (Stato e privati) di fare man bassa di aziende strategiche nazionali (sul concetto di azienda strategica, sua classificazione e grado di incidenza sul tessuto economico del Paese andrebbe svolta una seria riflessione, viste le competenze in campo e gli interessi in gioco). Oggi ci irrigidiamo a 360 gradi ponendo paletti talvolta tardivi ad investitori istituzionali e privati di altre nazioni, con conseguenze spesso dannose per la nostra stessa economia.

Anche il ruolo dell’Italia in ambito europeo e comunitario è altro elemento di distinzione e di stabilità di indirizzo nelle attività di intelligence pianificata; sulla politica dell’Unione l’intelligence deve ricevere inputs governativi stabili e duraturi.

La mutevolezza di orientamento politico (e di conseguenza mutevole azione) disorienta i mercati e gli operatori, mentre la fermezza di posizione su temi di importanza strategica e globale consente una visione di intelligence di medio e lungo periodo, da cui trarre le priorità, valutare le alleanze e prevenire le minacce per il Paese.

Il vero cambio di passo nell’intelligence italiana, quindi, oltre alle annunciate modifiche strutturali ed organiche consisterà anche nel considerare l’intelligence tra quegli elementi fondanti cui fare riferimento allorquando si dovranno assumere iniziative o decisioni di ampia visione strategica del Paese, ponendo questa attribuzione nella nuova sede istituzionale della Presidenza della Repubblica.

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