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Una vittoria di Kilicdaroglu al ballottaggio, dice a Formiche.net Valeria Talbot, analista Ispi per le aree di Medio Oriente e Nord Africa, darebbe un quadro inedito in Turchia perché sarebbe una presidenza senza la maggioranza in Parlamento, visto che il risultato elettorale ha premiato nell’Assemblea nazionale l’alleanza tra il partito AKP e quello nazionalista di Bahceli. Si verrebbe a configurare una situazione complicata, osserva, ma comunque resta il fatto che per la prima volta Erdogan è sceso sotto il 50%.

Erdogan è riuscito a limitare i danni rispetto alle previsioni iniziali?

Certamente, perché i sondaggi della vigilia parlavano di un vantaggio del suo sfidante Kemal Kilicdaroglu. Però è anche vero che, per la prima volta, il presidente uscente non riesce a superare il 50% dei voti: sia rispetto alle presidenziali del 2018 sia rispetto al referendum del 2017.

Fisiologico dopo vent’anni o possiamo individuare ad esempio nel terremoto dello scorso febbraio e nell’inflazione due elementi di criticità oggettiva?

Il principale elemento di criticità è l’andamento dell’economia e, senz’altro, la crescente inflazione, mescolata al deprezzamento della lira turca che negli ultimi due anni ha perso il 70% del suo valore rispetto al dollaro. Quindi più in generale il deterioramento del quadro macroeconomico e l’impatto che questo ha avuto sugli standard di vita dei cittadini turchi, soprattutto delle classi medio basse dei ceti bassi: hanno visto erodere fortemente il loro potere d’acquisto. Per cui più del terremoto è l’andamento dell’economia a preoccupare, perché se guardiamo al voto nelle regioni colpite dal sisma lì Erdogan ha mantenuto la maggioranza.

Il fatto che le opposizioni abbiano scelto Kilicdaroglu e non il più giovane Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, è stata un’occasione mancata?

In realtà formalmente non avrebbero potuto sceglierlo, perché colpito da una sentenza di condanna nei mesi scorsi: tecnicamente avrebbe significato puntare su un cavallo che poi avrebbe potuto ritirarsi in corsa. Di fatto è stata una scelta anche dettata dalle circostanze.

Quale il suo bacino elettorale? Soltanto le minoranze, i curdi o anche per esempio i giovani e le vittime di Gezi Park?

Il bacino elettorale dello sfidante è trasversale e raccoglie diverse anime del Paese, oltre appunto all’elettorato tradizionale del partito kemalista visto che il suo partito, il Partito repubblicano del popolo, raccoglie il bacino dei curdi ma anche dei giovani e tutte quelle minoranze che nel Paese non si sono sentite rappresentate da Erdogan in questi anni. C’è da dire che la società turca è fortemente polarizzata tra il fronte pro Erdogan da un lato e il fronte anti Erdogan dall’altro.

Il margine di scarto infatti non è sostanziale, sono più o meno cinque punti percentuale: non è pochissimo, ma non è neanche tanto se si considera che vi sono due anime che si contrappongono.

Se al ballottaggio dovesse vincere Kilicdaroglu cosa cambierebbe nell’approccio del Paese verso l’Ue?

In generale sul piano delle relazioni euromediterranee non cambierebbe molto e la politica estera della Turchia seguirebbe sostanzialmente una linea di continuità verso l’Europa. Magari verso l’Unione europea ci sarebbe un’apertura maggiore, un miglioramento delle relazioni. Nel tavolo dei sei sono stati inseriti diversi punti che riguardano i rapporti con l’Unione europea tra cui anche la ripresa del processo negoziale per l’adesione. Una vittoria di Kilicdaroglu comunque darebbe un quadro inedito in Turchia.

Per quale ragione?

Sarebbe una presidenza senza la maggioranza in Parlamento, visto che il risultato elettorale ha premiato nell’Assemblea nazionale l’alleanza di Erdogan, tra il partito AKP e quello nazionalista di Bahceli. Si verrebbe a configurare una situazione complicata, anche se in Turchia c’è un sistema presidenziale con un Presidente dai poteri molto forti. Questo però creerebbe una situazione inedita e non semplice da governare.

Se dovesse rivincere Erdogan, invece, la sua politica sarebbe la stessa oppure verrebbe stimolato a intervenire sull’economia e sull’inflazione?

Credo ci sarebbe una linea di continuità, ma senza dubbio la sfida dell’economia rimane e ci sarebbe sia che vinca Erdogan, come sembra probabile, sia che vinca lo sfidante. Ciò che si potrebbe pensare è che magari, forte della rielezione, Erdogan possa in economia adottare delle politiche monetarie diverse, senza insistere come ha fatto finora sul tenere bassi i tassi di interesse per favorire la crescita mentre invece l’inflazione è schizzata alle stelle. Quindi ci potrebbero essere degli interventi anche per attirare più investimenti diretti esteri e avere la fiducia dei mercati. Ciò che negli ultimi anni invece Erdogan ha sostanzialmente perso.

La prima volta di Erdogan sotto il 50%. Il voto turco letto da Valeria Talbot

“La spiegazione delle elezioni? Il deterioramento del quadro macroeconomico e l’impatto che questo ha avuto sugli standard di vita dei cittadini turchi, soprattutto delle classi medio basse dei ceti bassi: hanno visto erodere fortemente il loro potere d’acquisto”. Conversazione con l’analista dell’Ispi per le aree di Medio Oriente e Nord Africa

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