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In attesa che la parabola politica si compia e che il generale Vannacci annunci la propria candidatura alle prossime elezioni europee, pare ormai chiaro che a suscitare la reazione dello Stato Maggiore dell’Esercito non siano state le sue tesi sugli omosessuali, ma quelle su Putin e la Federazione russa. E non da oggi.

Sul Quotidiano nazionale, Bruno Vespa ha scritto che il pluridecorato generale era finito a guidare l’Istituto geografico militare a causa delle sue posizioni “estremamente favorevoli a Putin maturate nel periodo in cui è stato addetto militare a Mosca dal febbraio 2021”. Posizioni solo in parte affiorate nelle pagine del suo libro, quando racconta con toni idilliaci le condizioni di vita delle donne russe a Mosca. Una città sicura, a differenza delle nostre. Perciò, chiosa il generale, “se la democrazia non riesce a dare risposte concrete soprattutto nei confronti della delinquenza… l’elettorato si volgerà verso sistemi diversi, verso forme di governo più efficaci nei confronti dei malviventi”.

Al di là di queste poche parole, a Vannacci viene rimproverata una sostanziale discordanza rispetto alla linea dello Stato italiano, e dunque delle Forze armate di cui fa parte, nella vicenda ucraina. Un disallineamento tutt’altro che raro tra i vertici militari. Ad esempio. Mentore di Vannacci nell’Esercito è stato il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi, oltre che della Brigata Folgore. Un pezzo da novanta. Anche Bertolini ha scritto un libro, “Guerra e pace al tempo di Putin”. Anche Bertolini è attestato su posizioni critiche rispetto alle scelte della Nato, e di conseguenza dell’Italia, nel conflitto ucraino.

Lo scorso marzo, a il sussidiario.net, il generale Bertolini dichiarava che “l’escalation militare” non è colpa di Putin, ma degli Stati Uniti: “Dai tempi di Obama e di Hillary Clinton era chiaro che l’amministrazione democratica americana, che aveva dato il via alle primavere arabe e che aveva sponsorizzarto l’Euromaidan del 2014, puntava a un confronto muscolare con la Russia. Quello che stiamo vedendo ora è la conseguenza di quell’impostazione”.

Nel settembre 2022 un giornalista de iltimone.org gli chiede cosa dovremmo fare perché la pace trionfi. La risposta è netta: “Evitare di continuare ad alimentare la guerra con l’invio delle armi, o anche di imporre sanzioni, spesso più penalizzanti per noi che per la Russia. Sanzioni che, tra l’altro, si sono portate dietro dinamiche veramente odiose, penso all’atto di negare i visti ai cittadini russi, come se questi dovessero pagare una colpa atavica, l’appartenere ad un popolo. Se ci pensiamo è una cosa veramente incredibile da parte di paesi democratici quali diciamo di essere”.

Lo scorso 27 maggio, dopo aver manifestato la propria fiducia incondizionata nel piano di pace cinese, il generale Bertolini mette in guardia i lettori di Italia Oggi. “L’unipolarismo – dice – è solo americano, perché la globalizzazione è stata l’esportazione in tutto il globo del modello Usa. Nel momento in cui questo primato fosse sostituito in modo irreversibile da un nuovo effettivo multipolarismo, comunque lo si pensi, per l’America sarebbe una sconfitta strategica”.

Inutile proseguire con le citazioni di scritti e interviste. È già piuttosto chiaro che per il generale Marco Bertolini la nostra è una finta democrazia e l’imperialismo che mette a rischio la sicurezza del mondo non è quello russo, ma quello americano.

Vannacci deve la propria carriera a Bertolini. Li accomuna un idem sentire largamente diffuso tra i ranghi delle nostre Forze armate. Forse, essendo oggi l’Italia coinvolta in uno scenario semi bellico, è di questo, più che di omofobia vera o presunta, che sarebbe opportuno discutere. E non perché ci sia il rischio di una sollevazione militare, ma perché quelle tesi sono condivise da una parte della società italiana.

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