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L’edizione indiana di Sputnik ci tiene a far sapere che la sala del Sandton Convention Centre di Johannesburg dove i Brics sono riuniti era “gremita” mentre Vladimir Putin faceva il suo discorso pubblico durante il Business Forum del vertice. Il presidente russo non è tra i leader presenti – oltre sessanta, insieme agli organizzatori del vertice, Brasile, India, Cina, Sudafrica e appunto Russia. Non c’è perché su di lui pesa un mandato di cattura della Corte penale internazionale, che lo accusa di crimini di guerra commessi durante l’invasione dell’Ucraina da lui ordinata 18 mesi fa. Dimentica questo dettaglio l’emittente del Cremlino – rilanciata ovunque nei social network soprattutto da coloro che contestano l’Occidente attraverso la libertà di espressione che le regole occidentali concedono proprio su quei social network che in Russia vengono controllati dal regime. E Sputnik dimentica anche di menzionare che fuori dal centro convegni Amnesty International e altre varie associazioni per i diritti umani hanno protestato questa mattina, quando i leader iniziavano la loro seduta annuale, per le violenze barbare che i russi stanno perpetrando durante l’invasione dell’Ucraina. Ma d’altronde è logico: la propaganda non si cura dei fatti.

Ha parlato con voce a tratti spettrale Putin, ha enfatizzato l’unità e la cooperazione economica, ha sottolineato che la “de-dollarizzazione” dei Brics è irreversibile. E però, le discussioni sulla moneta alternativa comune sono ferme, non in agenda per l’incontro di questi giorni; mentre le attività della banca associata, che il blocco sta cercando di aprire agli esterni (per ora Bangladesh, Emirati Arabi, Egitto, forse a breve Uruguay e Arabia Saudita), muove investimenti in monete diverse dal dollaro solo parzialmente. Pur consapevole che non sarà lui a cambiare le regole di Bretton Woods, non ora per di più, per il presidente russo è lo stesso importante calcare questa narrazione. Perché le attività in dollari del suo Paese sono bloccate o comunque controllate da Washington.

“Il comportamento irresponsabile di alcuni Paesi” provoca le spinte inflazionistiche che “pesano in particolare sugli Stati più poveri”, mentre “le sanzioni illegittime” imposte dall’Occidente “calpestano tutte le norme del libero commercio”, ha detto. Una piagnisteo che serve come captatio benevolentie verso una serie di Paesi del Global South che accedono volentieri a certe narrazioni. Ha sottolineato che la Russia è tra le prime cinque economie del mondo (per PPP), e questo è uno degli elementi su cui aggancia l’inefficacia delle sanzioni. Poi ha parlato di esportazioni di fertilizzanti russi in Africa, aumentata – il che significa incontrare le esigenze agricole del continente, incontrate anche nelle sottolineature sulle capacità raggiunte dal suo Paese nella robotica. Poi ha dato la sua spiegazione sul perché è saltato il grain deal (in sintesi la litania è sempre la stessa: era sbilanciato, a favore dell’Ucraina per colpa dell’Occidente) e ricordato che una parte del grano andrà in Africa gratis (ma non ha detto che quei Paesi sono tutti governanti da leader fan del presidente russo).

“Collaboriamo sui principi di uguaglianza, sostegno alla partnership, rispetto per gli interessi reciproci, e questa è l’essenza del corso strategico orientato al futuro della nostra associazione, un corso che soddisfa le aspirazioni della parte principale della comunità mondiale, la cosiddetta maggioranza globale”, ha detto Putin. Il messaggio è forte, accattivante, e quasi famigliare. Ma quanto è credibile la Russia invasore, messa in crisi da una guerra che non riesce a vincere, la cui economia è sull’onda della sinificazione e il cui leader ha subito recentemente un colpo d’avviso da uno dei suoi pretoriani?

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