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Nel suo splendido editoriale di venerdì 4 agosto (i veri buoni editoriali durano nel tempo), dal titolo “Le fazioni e i veleni d’Italia”, Ernesto Galli Della Loggia, sostiene, come evidenzia il cuore dell’articolo, che “la Prima Repubblica ha la responsabilità di aver trasmesso alla Seconda una eredità avvelenata, il germe della faziosità, ed in dosi massicce”. Mi è capitato negli ultimi giorni e settimane di scrivere, da queste colonne, vari articoli, anche in qualità di presidente della Academy di cultura e politica Giovanni Spadolini, sostanzialmente con un taglio affine.

Io, però, mi basavo più che sul concetto di “faziosità”, su quello di “divisività”, che il professor Galli Della Loggia conosce molto bene. Un concetto che mi permetto di tradurre per i lettori, come una diffusa attitudine, sia nelle classi politiche e in una buona maggioranza delle classi dirigenti, che nella società, (in molte aree d’Italia) per cui, c’è una tendenza forte a cercare quasi regolarmente le ragioni che dividono invece che le ragioni che uniscono. Di questa dimensione fa parte anche quello che amo definire il “bipolarismo muscolare all’italiana” e che guarda caso trova le sue radici proprio nell’episodio istituzionale, iniziale da cui nasce la Seconda Repubblica (con cui si è rafforzata ancora di più la divisività accennata prima).

Ovvero con quella elezione, con votazioni al color bianco, con la conta e riconta delle schede, del presidente del Senato del 1994. Dove alla fine, per essere brevi, Giovanni Spadolini ottimo presidente uscente (forse un po’ migliore di qualche presidente del Senato attuale…) risultò sconfitto per un solo voto. Molti successivamente hanno non a caso sostenuto che la rielezione di Spadolini sarebbe stato un punto di equilibrio tra i vari organi istituzionali e un segnale, almeno a livello istituzionale, di distensione dei rapporti, già troppo polarizzati allora, tra il centrodestra e il centrosinistra. Ovviamente quello forse fu la cartina di tornasole dell’origine forte del bipolarismo muscolare, che ha contribuito non poco negli anni all’aumento di questa tendenza alla divisività, e di cui anche nelle ultime settimane non ci sono mancate prove più che significative…

Io tendo a utilizzare il concetto di “divisività”, perché, come Galli Della Loggia sa benissimo, le migliori radici interpretative alla base di questi fenomeni sono quelle di Edward Banfield, con il suo modello interpretativo della società italiana basato sul “familismo amorale” e sul “familismo amorale degenerativo”, e di Robert Putnam, scolpita magistralmente in un grande libro come “La tradizione civica nelle regioni italiane”. Fenomeni e “veleni” che sono comprensibili solo se si attinge ad un vero recupero della memoria storica, di cui purtroppo le classi dirigenti e politiche e parte della classe giornalistica sono sostanzialmente sprovvisti. Anche l’attingere alla memoria dello Spadolini presidente del Consiglio, nel 1981, aiuta a meglio comprendere certe vicende di questi giorni e di sempre.

Come è noto l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, (il primo presidente “più amato dagli italiani”), affidò a Spadolini l’incarico di governo soprattutto per dare una risposta pronta alla grave emergenza scoppiata con lo scandalo P2 (di cui vediamo emergere qualche coda anche in questi giorni). Spadolini cercò e riuscì a farlo al meglio, rispondendo prontamente in qualche modo all’emergenza morale. Ma accanto ad essa c’era anche una emergenza economica e soprattutto una emergenza istituzionale. Non a caso il primo presidente laico fu chiamato “Sua Emergenza”. Quanto appunto all’emergenza istituzionale anche se molti lo hanno dimenticato, Spadolini presentò un “Decalogo istituzionale” fatto di piccole e medie riforme istituzionali tese a rafforzare il ruolo del governo e la figura del presidente del Consiglio.

Si guardava beve però dal pensare all’ipotesi di un’elezione diretta anche perché la figura istituzionale in cui più si riconoscevano gli italiani era il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Guarda caso una situazione che si ripete anche oggi, perché pure i più recenti sondaggi evidenziano che la figura istituzionale in cui gli italiani più si riconoscono è il capo dello Stato, oggi straordinariamente incarnata da Sergio Mattarella. Figura che – per dirla in termini brevi- sia se si ricorresse all’elezione diretta del premier sia se ricorresse a quella del Presidente della Repubblica, ovviamente uscirebbe molto debilitata.

L’Academy Spadolini ha come obiettivi di fondo legati a ciò che quella grande figura di direttore, storico, presidente della Bocconi per vent’anni presidente del Consiglio e presidente del Senato incarnava di rilanciare l’importanza e il significato della memoria storica, liberandoci dal presentismo (se non addirittura dalla “oggicrazia”), risanare il divorzio avvenuto purtroppo da tempo tra cultura e politica, ostacolando la diffusione del dilettantismo, e finalmente promuovere i valori del merito e della concorrenza. Il 2024 segnerà il 30° dalla scomparsa di Giovanni Spadolini, mentre il 2025 segnerà il centenario dalla nascita. Sulla base di quanto riferito dal ministro dei Beni culturali Sangiuliano, centenario più significativo tra i centenari per legge celebrati dal ministero della cultura, fondato tra l’altro da Spadolini nel 1974.

A provvedere molto bene sin qui alla “tutela” della memoria e dell’opera di questa grande figura culturale è stata sin qui la Fondazione Spadolini di Firenze. Il nostro intento, invece, di valorizzarne e rilanciarne la memoria e il pensiero proiettati nel presente e nel futuro. Con un approccio politico culturale largo, pluralista, laico, anche perché Spadolini fu un patrimonio del Paese oltre che del Partito Repubblicano Italiano. Anche perché, non a caso i vice presidenti sono il professor Andrea Monorchio, la professoressa Maria Rita Parsi, il professor Carlo Malinconico, mentre il presidente del Comitato dei Garanti è Giuseppe De Rita e quello del Comitato tecnico scientifico è Lamberto Dini. Proprio con De Rita, nel corso di un lungo dialogo per un mio libro che sarà pubblicato a breve (“I segreti del Potere. La voce delle donne e degli uomini del silenzio”), mentre io lo invitavo a pronunciarsi oltre che sul “presentismo”, lui, con il suo solito acume mi ha invece risposto che oltre a questi fenomeni si aggiunge ad essi il problema del “primato dell’altro ieri”, visto che sembra che si possano fare commissioni di inchiesta per favorire rigurgiti di comodo in chiave un po’ settaria di vicende più o meno lontane del passato.

Non crediamo, come Academy Spadolini, che un Paese quindi possa andare lontano e ricucire le proprie frammentazione senza un senso diffuso della memoria storica, né senza risanare il divorzio tra cultura e politica, né tantomeno affidandosi alle illusioni della “oggicrazia” o più recentemente della “iericrazia”.

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Un Paese non può andare lontano e ricucire le proprie frammentazioni senza un senso diffuso della memoria storica, né senza risanare il divorzio tra cultura e politica, né tantomeno affidandosi alle illusioni della “oggicrazia” o più recentemente della “iericrazia”. L’intervento di Luigi Tivelli, presidente della Academy di cultura e politica Giovanni Spadolini

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