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In un Paese in cui il 25% della popolazione ha superato di slancio i sessant’anni (e i giovani votanti tra i 18 e i 34 anni non superano il 7% della loro classe demografica), la notizia di un trentaseienne italiano ai vertici della politica estera europea dovrebbe essere accolta come una buona nuova. E invece no: secondo il canone più classico dell’italico provincialismo, una gragnuola d’improperi ha assalito Luigi Di Maio alla notizia dell’avventura nomina, da parte del “ministro degli Esteri europeo” Borrell, a rappresentante speciale dell’Ue nei Paesi del Golfo. La nomina, che ha avuto oggi la ratifica da parte degli ambasciatori europei nel Comitato Politico e di Sicurezza dell’Ue, parte dal primo giugno e si concluderà tra un paio anni, il 28 febbraio 2025.

L’indicazione di Di Maio, ovviamente, non è una sorpresa: le procedure in ambito Ue sono sempre articolate e mai fulminanti, poggiate sul consenso e mai conflittuali, anche se legate ad un “motu proprio” dell’Alto rappresentante europeo, sottratto all’usuale millimetrica lottizzazione tra Paesi membri e gruppi parlamentari in Ue. Insomma se ne parlava da mesi negli ambienti politici italiani, magari senza riuscire ad inquadrare perfettamente modalità, obiettivi, ruoli e fonti giuridiche. Così, intercettando le prime notizie di una possibile concretizzazione dell’ipotesi ventilata mesi fa dai media, qualche esternatore compulsivo ha cominciato ad inveire contro la scelta poggiando l’argomento sul paralogismo: “È un politico italiano, noi siamo i nuovi detentori del potere di governo in Italia, dunque spetta a noi fare l’indicazione”.

La parte sbagliata – forse consapevolmente, forse no – del ragionamento è quella che collega Di Maio alla usuale lottizzazione tra Stati membri e gruppi politici: così non è, essendo nomina devoluta a Borrell. Ovviamente, accanto alla reazione stizzita sul metodo, si è allestito il solito turpiloquio su qualità tecniche, curriculum studiorum, conoscenza delle lingue eccetera, elementi costitutivi della fenomenologia dell’ingiuria, molto da bar sport, che scatta quando scarseggiano gli argomenti di merito. Si tratta, a ben vedere, di ingiurie rivelatrici di una specie di invidia sociale – specialmente in auge da quando nella pubblica opinione s’è compreso che per fare politica ai livelli alti non sarebbe necessario null’altro se non l’amicizia di chi ti mette primo nella lista degli eletti – che fa dire ad ognuno: “Perché tu si è io no?”. Insomma una piccola bega di provincia.

Di Maio ha spesso rappresentato un problema per parecchia gente che calca le scene della politica: giovanissimo raggiunge gli scranni più alti delle istituzioni, sospinto dal vento iconoclasta dei Cinque Stelle, e tuttavia si distingue subito per il suo aplomb governativo, gli abiti di taglio sartoriale, la capacità di reggere la scena mediatica, il suo farsi beniamino delle signore agée. E anche per la sua capacità di riconoscere gli errori compiuti seguendo le parole d’ordine antagoniste somministrate dal grillismo, sottoprodotto italiano del situazionismo di Debord.

Il giovane Di Maio situazionista del 2013 aveva, però, in se già i semi del Di Maio ministro degli Esteri nel governo Draghi, quando assume consapevolezza della politica internazionale studiando i dossier e girando per il mondo, privilegiando in particolare il Mediterraneo e il Medio Oriente. Con Draghi comprende che gli orizzonti della politica non possono consumarsi in una piccola guerra di trincea per pregiudizio ideologico. Coerentemente rompe con un passato che gli è ormai estraneo, fa le sue scelte, paga in prima persona anche per qualche compagno di strada sbagliato. Così aggiunge ai nemici politici di un tempo, anche i suoi ex amici che non gli perdonano il successo. Adesso è in Europa, e lavorerà sui temi cruciali degli approvvigionamenti energetici. È un italiano, e non era scritto da nessuna parte che in quel ruolo lo sarebbe stato.

Phisikk du role - Di Maio europeo, politica nazionale provinciale

Di Maio ha spesso rappresentato un problema per parecchia gente che calca le scene della politica. Coerentemente rompe con un passato che gli è ormai estraneo, fa le sue scelte, paga in prima persona anche per qualche compagno di strada sbagliato. Così aggiunge ai nemici politici di un tempo, anche i suoi ex amici che non gli perdonano il successo. Adesso è in Europa. È un italiano, e non era scritto da nessuna parte che in quel ruolo lo sarebbe stato. La rubrica di Pino Pisicchio

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