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In pochi, il 24 Febbraio 2022, si aspettavano che una debole (o presunta tale) Ucraina riuscisse a resistere a lungo al massiccio assalto lanciato nella notte dalle truppe russe. Eppure, a 17 mesi dall’invasione Mosca si ritrova ancora impantanata in quell’“Operazione Militare Speciale” che doveva durare al massimo pochi giorni, arrivando a valutare persino la tragica eventualità di una sconfitta. In una simile situazione qualcuno esulta, attende, o si dispera. E qualcuno prende appunti.

Nell’estate del 2022, il presidente taiwanese Tsai Ing-wen riunisce una task-force governativa per studiare il conflitto in Ucraina. La motivazione è abbastanza lapalissiana: capire grazie a quali tecniche belliche o dinamiche militari la piccola Ucraina fosse riuscita a reggere l’urto dell’offensiva russa, così da dotarsene per fronteggiare un eventuale assalto dell’Esercito Popolare di Liberazione. Il prodotto dei lavori di questa task-force si concretizza in un report di 77 pagine, che fornisce una risposta molto netta: Unmanned Aerial Systems (UAS), volgarmente noti come droni.

Ma oltre a fornire una risposta chiara, questo report fornisce anche una panoramica della situazione in cui versano le forze armate di Taipei. E la situazione è tutt’altro che rosea: l’arsenale di Taiwan si basa su quattro tipi di droni, ed ammonta a poche centinaia di esemplari; viceversa, quello di Pechino conta decine di migliaia di apparecchi suddivisibili in 50 tipologie diverse. Una differenza più che abissale.

Per cercare di colmare questo gap, la presidenza taiwanese propone un piano strategico nazionale per la produzione di UAS. Il programma, denominato “Drone National Team”, prevede la creazione di una catena produttiva autosufficiente di droni, tramite il coinvolgimento congiunto di produttori di droni commerciali, aziende del settore aerospaziale e dell’aviazione e apparato militare. L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a produrre, tra piccoli droni a corto raggio e grandi e sofisticati apparecchi, 3.200 apparecchi entro la prima metà del 2024.

Le aziende private dell’isola non si sono tirate indietro, anzi. Stando a quanto riportato, nove dei maggiori produttori nazionali hanno accettato la sfida del governo. Tra questi vi è Thunder Tiger Group, il cui direttore, Hawk Yang, ha affermato in un’intervista a Reuters che l’azienda da lui guidata sta al momento sviluppando elicotteri di sorveglianza senza pilota progettati per un impiego sia terreste che marittimo, con rotori lunghi quattro metri, un raggio d’azione di 400 chilometri e un’autonomia di volo di sei ore. Ma oltre a questo progetto specifico, Thunder Tiger Group è stata incaricata dai vertici della difesa taiwanese di apportare a droni commerciali le necessarie modifiche per renderli adatti ad un impiego sul campo di battaglia. “Un piccolo drone è in grado di far saltare in aria un carro armato con un costo di produzione di decine di milioni di dollari” afferma Yang, nel sottolineare come le nuove armi asimmetriche stiano influenzando lo sviluppo delle dinamiche militari odierne.

Ma il “Drone National Team” non si limita alla fase produttiva: al suo interno sono inclusi anche una mappatura dell’approvvigionamento dei materiali e dei componenti impiegati, oltre che un’identificazione delle tipologie di drone più utili alle forze armate taiwanesi sulla base di fattori militari e geografici. Coerentemente con l’approccio del “porcospino” adottato dai vertici militari taiwanesi, che anziché impegnare tutte le proprie risorse in una difesa lineare e convenzionale dell’isola preferisce organizzare una difesa in profondità, con l’ausilio di sistemi d’arma meno costosi, più facilmente producibili ed anche più facilmente impiegabili, così da dissanguare lentamente il potenziale esercito invasore.

E le ambizioni di questo progetto si estendono ben oltre i limitati confini dell’isola. L’obiettivo di lungo termine è trasformare Taiwan in un hub di produzione, ricerca e sviluppo per i droni a livello regionale, capace di strutturare una supply chain interna alla rete di alleanze, compresi ovviamente gli Stati Uniti.

Al momento Washington dispone dei droni più sofisticati al mondo, ma questa superiorità è contestata da Pechino, che anche in questo settore cerca di superare il rivale d’oltreoceano. La nascita di un nuovo polo regionale di sviluppo per questo genere di equipaggiamento sarebbe molto gradito gli Usa, poiché la partecipazione degli alleati high-tech dell’area indo-pacifica permetterebbe il raggiungimento di risultati migliori, allo stesso tempo suddividendo i costi. E rafforzando ulteriormente le capacità difensive di Taiwan, considerato proprio da Washington il più importante avamposto democratico del contesto geopolitico odierno.

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