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Il comunicato del Comitato di redazione del Sole 24 Ore del 28 marzo 2023 ci riporta al tema dell’influenza e delle ingerenze cinesi nella vita politica, culturale e imprenditoriale del nostro paese, fornendoci un interessante motivo di riflessione. L’occasione nasce dalla pubblicazione, il 26 marzo, dell’ennesimo inserto propagandistico Focus China: quattro pagine di articoli di pura propaganda scritti da giornalisti cinesi dell’Economist Daily, testata statale di proprietà della Repubblica popolare cinese, autocelebrativi, volti ad attrarre investimenti fornendo una visione semplicistica ed edulcorata di una realtà assai più complessa e problematica. L’inserto, essendo a cura dell’azienda pubblicitaria del gruppo editoriale, sfugge a ogni controllo da parte della redazione, evitando in questo modo il pur minimo intervento da parte di giornalisti e opinionisti indipendenti. Non solo appare quindi inopportuno che il quotidiano della Confindustria, il più importante giornale economico italiano, si presti a “fare da grancassa per una dittatura” illiberale, dichiaratamente anti-occidentale e anti-democratica, “arroccata in politica estera su un sostegno filoputiniano”, ma è ancor più ambiguo che si continuino ad agevolare pratiche ritenute opache e ingannevoli, che sarebbe doveroso, oltre che saggio, evitare, come suggerito dal Copasir e, a livello europeo, dalla Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell’Unione europea, inclusa la disinformazione. Il problema non riguarda unicamente il Sole 24 Ore, ma buona parte del settore dei media, come si evince, per l’Italia, dallo studio dell’Istituto Affari Internazionali di Roma dell’ottobre 2021 e, più in generale, dal rapporto di Freedom House del settembre 2022.

Un argomento importante della denuncia del Comitato è costituito dalla richiesta “di conoscere quali sono gli interessi morali sottesi alla (ennesima) pubblicazione delle 4 pagine del Focus China. Quelli materiali temiamo di intuirli. Purtroppo”. Sollevare una questione morale in questi termini è piuttosto inusuale e costituisce un passaggio essenziale per salvaguardare l’onestà intellettuale e professionale di chi a vario titolo opera con la Cina e deve fare i conti con i propri valori, con il codice deontologico della propria categoria di appartenenza e con le finalità dell’azienda o dell’istituzione per cui lavora. Si rende necessario stabilire quale è, o almeno quale dovrebbe essere, il limite invalicabile non solo a livello individuale ma anche, e forse soprattutto, a livello istituzionale. Il monito dei giornalisti del Sole 24 Ore richiama al senso di responsabilità tutti coloro che gravitano, a vario titolo, intorno al mondo cinese.

L’ingerenza cinese, spesso sostenuta da interventi di natura finanziaria, è un fenomeno rilevante che si estende, in modo pervasivo e non sempre immediatamente percepibile, al mondo della politica, dell’economia, della cultura, e in parte anche dell’associazionismo. In tali ambiti si sconta la necessità, esplicitamente affermata dalla controparte cinese, di creare e diffondere un’immagine positiva ed edulcorata della Cina per agevolare le attività di aziende, imprese o istituzioni, per lo più emanazione del Partito-Stato o comunque ad esso legate. È un’influenza che tende a diffondersi in modo penetrante e capillare, talvolta subdolo, descritta con una dovizia di particolari persino eccessiva e talvolta ossessiva da Clive Hamilton e Mareike Ohlberg. Anche facendo la tara, impressiona la capacità delle agenzie di influenza e ingerenza cinesi di agire sottotraccia, che rende pressocché “invisibile” la mano di chi guida il processo.

Nel caso del Sole 24 Ore è l’autorevolezza del giornale che ospita a pagamento l’inserto autopromozionale la chiave del successo dell’operazione. Nel caso delle università o degli enti di ricerca che ospitano, sempre a pagamento, gli Istituti Confucio, i centri di cultura cinese irritualmente (e senza alcuna reciprocità) incardinati in modo formale all’interno delle università, è il prestigio dell’istituzione accademica o dell’ente di ricerca ospitante l’elemento saliente. Il fatto che gli Istituti non possano svolgere all’interno degli atenei alcuna attività di insegnamento o di ricerca (ma di pressione e controllo sì) e, soprattutto, che siano strettamente dipendenti dal “sistema di propaganda dello stato-partito cinese”, come denuncia la Relazione (p. 51, punto 129) della Commissione europea sulle ingerenze straniere sopra citata, sono ritenuti fattori di secondaria importanza. La situazione non può essere che fuorviante, poiché attribuisce agli Istituti Confucio un prestigio e un’autorevolezza che non hanno e non potrebbero certo far intendere di avere se fossero collocati, come gli altri istituti di cultura del mondo, al di fuori dalle istituzioni accademiche e di ricerca. Apparendo invece come una loro emanazione, traggono facilmente in inganno, essendo impossibile per un esterno valutare il reale coinvolgimento delle istituzioni che in qualche modo fanno da garante. Discorsi analoghi si potrebbero fare per fondazioni, centri culturali e, in parte, associazioni di varia natura che promuovono attività sulla Cina, coinvolgendo in alcuni casi anche i cinesi della diaspora. Affidarne la direzione o la rappresentanza a figure di rilievo del mondo politico, diplomatico, imprenditoriale, accademico e, più in generale, della cultura, può assicurare vie di accesso privilegiate al mondo della politica e della imprenditoria nazionale e locale.

Se la questione morale non verrà messa al primo posto, come gli estensori del Comunicato sembrano suggerire, coloro che con competenza e impegno operano per migliorare le relazioni tra Italia e Cina difficilmente potranno essere credibili, incisivi e tenuti nella dovuta considerazione, persino dai cinesi stessi, che potrebbero vederli come meri strumenti di cui servirsi per raggiungere i propri scopi.

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Il Cdr del “Sole 24 Ore” critica l’inserto della propaganda cinese sollevando la questione morale. È piuttosto inusuale e costituisce un passaggio essenziale per salvaguardare l’onestà intellettuale e professionale di chi a vario titolo opera con la Cina e deve fare i conti con i propri valori, con il codice deontologico della propria categoria di appartenenza e con le finalità dell’azienda

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