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Ciò che legittima, oggi, la mia presenza a questo momento di interlocuzione addirittura con il Ministro dell’Istruzione e del Merito del nostro Paese, Giuseppe Valditara, è la circostanza che, 50 anni fa, mi ha visto partecipare, insieme ad un gruppo di amici, alla nascita di una nuova scuola materna a Milano (sul cui esempio poi sono nate tante altre esperienze simili). All’inizio c’erano 8 bambini; ora gli allievi sono 1270, con una lunga lista d’attesa, che frequentano non solo la scuola materna, ma anche quella elementare e la media e ciò grazie alla solerzia dei responsabili che si sono succediti alla guida della cooperativa di genitori che avevamo a suo tempo costituito.

Perché abbiamo dato inizio a quella entusiasmante e faticosa iniziativa? Semplice. Perché avevamo incontrato, da studenti, un’esperienza educativa che ci aveva profondamente coinvolto e aveva cambiato la nostra vita, con il desiderio, una volta sposati, di vederla continuare nei nostri figli. E poi, in quegli anni, poco dopo il ’68, ci preoccupava l’enorme confusione educativa che si respirava nelle scuole di ogni tipo. Preferimmo rischiare un altro tipo di esperienza, anche se questo ci costò grande impegno ed enormi sacrifici economici.

Ma, con quella nostra scelta, ci rendevamo anche conto che noi davamo piena attuazione pratica a ciò che stabilisce l’articolo 30 della nostra Costituzione, laddove riconosce ai genitori il diritto di educare i figli, oltre che di mantenerli e istruirli. Solo ai genitori, cioè alla famiglia, è riconosciuto tale diritto e a nessun altro: non allo Stato, non alla Regione, non al Comune: “la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, dice l’art. 33 della Costituzione.

La Repubblica, cioè, ha il dovere di assicurare che esistano le strutture perché l’istruzione possa avvenire, ma non ha il diritto all’educazione, come, invece, pretendono di avere solo gli Stati totalitari. Non a caso anche il nome che individua il Ministero che si occupa di scuola si è sempre riferito all’Istruzione e non all’Educazione. Conseguentemente, l’articolo 31 obbliga la Repubblica, cioè l’insieme delle nostre istituzioni, ad agevolare “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”, tra cui, evidentemente, primeggia il compito/diritto educativo. Inoltre, l’articolo 33 comma 4 prescrive che agli alunni delle scuole paritarie venga assicurato “un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. Infine, l’articolo 34 stabilisce che l’istruzione inferiore sia “obbligatoria e gratuita”. Solo a margine di quanto appena detto, si potrebbe aggiungere che il famoso (e travisato) “senza oneri per lo Stato” si riferisce unicamente alla istituzione di “scuole ed istituti di educazione” e non certo al diritto dei genitori di istruire ed educare liberamente i propri figli.

Dunque, la “Costituzione più bella del mondo” riconosce alla famiglia il diritto all’educazione e all’istruzione e chiede che essa sia aiutata concretamente in questo suo compito, affinché i suoi figli possano frequentare gratuitamente la scuola, con un trattamento uguale per tutti gli allievi, qualunque sia la scuola frequentata.

Evidentemente, il diritto-dovere all’istruzione e all’educazione non sarebbe rispettato se alla famiglia fosse negato il potere fondamentale che permette di educare e cioè la libertà, libertà che non può non riguardare anche il momento della scelta della scuola. Tale scelta deve potere avvenire tra scuole statali, tra scuole paritarie e tra scuole statali e paritarie, perché il sistema scolastico italiano è basato sulla copresenza di scuole statali e scuole paritarie, come ha stabilito definitivamente la legge n. 62/2000, rimasta, peraltro, in gran parte non attuata.

Qualche rappresentante del pensiero educativo illiberale, tra cui, purtroppo, esponenti di una grande organizzazione sindacale, ha tentato, nel 2002, di far togliere le scuole paritarie dal sistema scolastico italiano, con la richiesta di un referendum abrogativo, a cui si oppose decisamente il Forum delle Famiglie, allora presieduto dall’amica Luisa Santolini. Mi permetto ricordare la sentenza della Corte Costituzionale che scaturì da tale opposizione, sentenza, peraltro, molto dimenticata: la n.42 del 30 gennaio 2003. Tale sentenza ha chiaramente stabilito che sarebbe incostituzionale espungere le scuole paritarie dal sistema scolastico nazionale, in quanto ciò sarebbe discriminatorio sia nei confronti delle scuole paritarie stesse sia nei confronti delle famiglie che desiderano iscrivere i propri figli a tali istituti. Infatti, afferma la sentenza, sarebbe discriminatorio “precludere il sostegno alle famiglie degli studenti delle scuole statali e non statali, che deriva dal rimborso della spesa sostenuta e documentata per l’istruzione scolastica”, ove si stabilisce un principio che deve valere per qualunque scelta la famiglia compia.

Malgrado questa sentenza della Corte Costituzionale, permane, purtroppo, nel nostro Paese, una incomprensibile e provinciale resistenza ad accettare il principio che la famiglia deve essere sostenuta anche economicamente nella libertà di scelta educativa collegata al suo diritto all’educazione. Motivi ideologici di altri tempi impediscono di ragionare serenamente su questa problematica. La verità è che, per un cambiamento di questo tipo, occorre una vera e propria rivoluzione culturale, che ponga al centro del problema la libertà della famiglia, prima ancora che il sostegno alla singola scuola. Ogni famiglia, anche la famiglia povera, deve potere essere in grado di scegliere la scuola preferita per il bene dei propri figli. Nel commemorarne il centenario della nascita, il Presidente Mattarella ha recentemente ricordato, tra le altre, queste parole di don Milani: “Una scuola di tutti, una scuola per tutti”. Ebbene, oggi in Italia l’accesso ad una scuola paritaria non è per tutti (e non lo è mai stato) e dobbiamo dirlo con grande rammarico e con viva preoccupazione democratica.

C’è molto da fare in materia e sarebbe sciocco pretendere tutto e subito. Mi permetto formulare tre proposte, che potrebbero essere gestite nel tempo di una intera legislatura, aprendo una nuova strada sulle tematiche educative, strade già aperte, peraltro, in molti Stati europei.

1)Mi pare doveroso, per evitare ogni tipo di discriminazione verificatasi in passato, applicare, fin da subito, eventuali interventi da Pnrr a tutte le scuole, comprese le scuole paritarie, senza alcuna distinzione.

2)Occorrerebbe aprire la strada verso l’equiparazione delle carriere dei docenti, sia che insegnino in una scuola statale sia che insegnino in una scuola paritaria. Verrebbe fatta giustizia sotto molti punti di vista, anche di quello della giustizia lavorativa.

3)Per evitare ogni discriminazione tra famiglie benestanti e famiglie povere e per assicurare la dovuta libertà ad ognuna di esse, occorre avviare nel tempo, ma partendo da subito, un percorso che porti alla graduale e definitiva applicazione generale dello strumento che può essere definito in vario modo e che qui indico genericamente come “dote scuola”, che dovrebbe essere la somma dei contributi provenienti dallo Stato, dalla Regione e dal Comune, tesi ad abbattere le rette a carico delle famiglie. Sarebbe un enorme passo avanti sia in termini di democrazia sia in termini di libertà, senza la quale, ripeto, non può esserci vera educazione.

Per terminare, vorrei precisare che quanto qui detto non si riferisce ad una famiglia ideale, mitologica. Conosco le attuali difficoltà in cui si trova la famiglia, che, quindi, deve essere aiutata nello svolgere i propri compiti educativi. Aiutata, non emarginata. Mi sembrano ipocriti tutti coloro che sottolineano le attuali debolezze della famiglia, dopo averla bastonata per 50 anni.

 

 

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