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“Innovate or be history”, dicono negli Stati Uniti. E in Europa? L’espressione può suonare drammatica, ma è necessaria per chiarire ai più distratti la portata della sfida che il Vecchio continente si trova ad affrontare senza possibilità di deroga.

Oggi più che mai l’Europa si trova infatti ad un bivio, stretta tra crisi socioeconomiche e un’agguerrita concorrenza da parte di Usa e Cina. Un contesto certamente complesso che porta a riflettere sul ruolo che l’Europa vorrà avere nello scacchiere geopolitico del prossimo futuro. Si può giocare questa partita in difesa, con il rischio di diventare sempre più marginali, o da leader, spingendo l’acceleratore dell’innovazione soprattutto in quei settori cruciali per la sicurezza e la sostenibilità economico-sociale dei Paesi, come lo sono, ad esempio, le scienze della vita.

Parliamo di un settore che nel 2021 ha generato in Europa un valore di 300 miliardi di euro, impiegando oltre 800mila persone e investendo in ricerca e sviluppo quasi 42 miliardi di euro. In questo contesto, peraltro, l’Italia è la best in class, con un valore della produzione che nel 2022 ha sfondato quota 49 miliardi, di questi oltre 47 destinati all’export. Con un impatto sulla vita delle persone di ineguagliabile valore.

Si tratta di un’eccellenza che, da un lato, cammina con equilibrio sulle gambe di aziende nazionali e internazionali, votate tanto all’innovazione quanto alla presenza industriale, e che dall’altro ormai da anni chiede e propone una strategia di lungo termine e regole del gioco non penalizzanti. È per questo che la recente riforma della legislazione farmaceutica europea, pubblicata dalla Commissione, desta più di qualche perplessità non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra gli investitori. Garantire un accesso più equo all’innovazione farmacologica è certo un obiettivo da perseguire.

Il rischio che però si intravede in questo pacchetto di riforme – necessario, perché interviene su una legislazione vecchia di oltre vent’anni – è correlato alle possibili conseguenze che una modifica del sistema di incentivi alla tutela brevettuale e allo sviluppo di farmaci porta con sé.

Ridurre la tutela regolatoria sui farmaci e introdurre criteri difficili da rispettare (come l’immissione contestuale nel mercato dei farmaci in tutti gli Stati membri, ciascuno con un proprio, più o meno lento, processo nazionale di approvazione), rischia di minare quel delicato equilibrio che tiene insieme investimenti, sostenibilità d’impresa e accesso all’innovazione scientifica e terapeutica, che poi sono i veri obiettivi dichiarati dalla Commissione e ciò a cui anche le imprese del settore aspirano.

Mantenere l’Unione europea competitiva non dovrebbe essere un compito demandato alle sole aziende, ma potrebbe essere raggiunto sforzandosi di individuare soluzioni condivise, in un dialogo fruttuoso tra pubblico e privato, per invertire una tendenza di per sé preoccupante.

Un cambio di passo necessario, che è confermato dai dati: guardando al livello di investimenti, infatti, nel 2001 Usa ed Europa erano quasi appaiate (44% vs 41%). Oggi, invece, gli Usa attirano il 52% degli investimenti, contro il 31% della Ue con l’oriente in crescita al 17%. Su dieci farmaci approvati da Ema, European medicines agency, oggi cinque provengono dagli Usa, tre dalla Cina e due dall’Europa: 20 anni fa, le proporzioni erano capovolte.

È quindi evidente che la vera sfida per i decisori è quella di costruire un quadro normativo che consenta da un lato di accogliere la straordinaria ondata di innovazione in arrivo dalla ricerca – medicina personalizzata, nucleare, genica, cellulare – e dall’altra garantire la competitività della regione Europa in un contesto concorrenziale sempre più sfidante.

Per un'Ue più competitiva sul Pharma. Il punto di Confalone (Novartis)

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Mantenere l’Ue competitiva non dovrebbe essere un compito demandato alle sole aziende. Oggi, l’Ue attira solo il 31% degli investimenti in farmaci con l’oriente in crescita al 17%. Su dieci farmaci approvati dall’Ema, cinque provengono dagli Usa, tre dalla Cina e due dall’Europa: 20 anni fa, le proporzioni erano capovolte. La riflessione di Valentino Confalone, Amministratore delegato, country president di Novartis Italia e membro del Comitato di presidenza di Farmindustria

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