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“Se tutti gli ostaggi non saranno rilasciati entro le 12 di sabato, il cessate il fuoco venga annullato e si scateni l’inferno”. Il messaggio del presidente statunitense, Donald Trump, arriva dopo che Hamas ha annunciato lunedì che sospenderà il rilascio di tre ostaggi israeliani previsti per sabato 15 febbraio a causa di “violazioni israeliane”. L’americano ha specificato che è la sua opinione personale e “Israele può ignorarla”, ma i suoi commenti potrebbero facilmente essere accolti dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, primo leader internazionale a essere invitato alla Casa Bianca dalla nuova amministrazione e tornato a Tel Aviv con l’idea di aver ottenuto — anche come conseguenza dei suoi incontri americani — “grandi cose nella guerra”.

Trump ha chiarito che si aspetta il rilascio di tutti i restanti 76 ostaggi che Hamas sta detenendo senza mezzi termini, consapevole che alzare i toni dalla sua teorica posizione di forza può servire a forzare certe dinamiche. Ma dopo la presentazione dell’ambizioso piano con cui vorrebbe trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”, i rischi sono alti. La dichiarazione di Trump si inserisce infatti in un quadro diplomatico sempre più instabile, alimentato anche dalla controversa proposta che comporta un possibile ricollocamento dei palestinesi di Gaza in altri Paesi della regione — che hanno già respinto con forza, sdegno e compattezza l’idea.

Trump ha ribadito la sua posizione nel corso di un’intervista con Fox News, affermando che circa due milioni di palestinesi verrebbero spostati in modo permanente in Giordania ed Egitto. “Non torneranno a Gaza perché lì non è abitabile”, ha detto, sottolineando che la ricostruzione richiederà molti anni. La Casa Bianca ha in seguito precisato che il trasferimento sarebbe solo temporaneo, ma Trump continua a insistere sulla permanenza della misura.

Questa idea ha generato forti reazioni: se da un lato ha entusiasmato la destra israeliana, dall’altro ha allarmato i governi di Arabia Saudita, Egitto e Giordania, i quali stanno mobilitando altre nazioni arabe e occidentali per contrastarla.

La scorsa settimana, a Washington, Netanyahu ha discusso il piano di Trump in un incontro riservato con Jared Kushner, genero e consigliere del presidente. Fonti vicine al dossier confermano ad Axios che la questione del ricollocamento è stata uno dei temi centrali. Nel frattempo, l’inviato speciale di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, ha affermato che Gaza potrebbe non essere abitabile per i prossimi 10-15 anni a causa delle devastazioni subite durante il conflitto.

Hamas ha descritto il rinvio del rilascio degli ostaggi come un “messaggio di avvertimento” verso Israele. “È una mossa attesa, in qualche modo Hamas doveva avere una reazione alle dichiarazioni del Piano di Trump”, spiega una fonte regionale dal Qatar, dove si sta cercando di organizzare con fatica le riunioni per le fasi 2 e 3 della tregua siglata a metà gennaio a Doha — ossia si continua a lavorare con la speranza di poter implementare il cessate il fuoco per poi consolidarlo verso una stabilizzazione duratura (“si fatica dire ‘pace’, ma quello è chiaramente l’obiettivo massimo”, aggiunge la fonte).

Secondo le autorità israeliane, solo 24 dei 59 ostaggi della seconda fase dell’accordo potrebbero essere in vita. Ed è questo un altro argomento delicato. L’opinione pubblica israeliana vive con ansietà le evoluzioni. L’attacco del 7 ottobre 2023 con cui Hamas ha ucciso oltre mille persone e rapito svariate altre è una ferita ancora in emorragia. La guerra scatenata da Israele per eradicare il gruppo terroristico da Gaza ha prodotto migliaia di vittime civili, ma molte parti dell’opinione pubblica israeliana continuano a ritenere l’eliminazione totale del gruppo come una necessità di sicurezza nazionale.

Il piano di Trump si inserisce in questo consenso ultra-sensibile. Netanyahu sa che sarà difficile far digerire un qualsiasi compromesso con Hamas alle sue componenti più estremiste, che già consigliano di reagire duramente al blocco del rilascio dei prigionieri. “L’annuncio di Hamas richiede una risposta: un assalto travolgente a ferro e fuoco su Gaza, via aria e terra, un blocco totale di tutti gli aiuti umanitari, tra cui elettricità, carburante e acqua, e persino l’attacco agli aiuti già inviati […] È tempo di tornare alla guerra ed eliminare la minaccia una volta per tutte”, dice il ministro di estrema destra kahanista Itmar Ben Gvir.

Certe posizioni sono sostanzialmente indipendenti dalle posizioni della Casa Bianca, ma è chiaro che le dichiarazioni e i piani di Trump diano sponda o quanto meno fiducia. Oggi arriva a Washington il re di Giordania Abdullah II, che incontra Trump per discutere il piano, mentre è previsto un summit d’emergenza della Lega Araba al Cairo nelle prossime due settimane. Anche il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, ha discusso il tema con il segretario di Stato, Marco Rubio, ribadendo la netta opposizione del Cairo a un progetto che al di là delle problematiche di ogni genere sul futuro, rischia di far esplodere nuovamente i complessi equilibri del presente.

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