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Maurizio Costanzo non è morto, continua a vivere con sembianze d’altri. Ma uno come lui non se ne può andare”. Se si pensa al principe dei salotti televisivi, Costanzo appunto, non si può automaticamente non pensare anche a Vittorio Sgarbi. Un legame nato anni fa, che “ancora continua e continuerà”. Perché, dice il critico a Formiche.net, “Costanzo in qualche misura rappresenta il parametro della vita”.

Quando il sipario cala, sul palcoscenico della vita, specie una di quelle trascorse davanti alla telecamera, si parla spesso di testamento spirituale. Ma anche in questo Sgarbi riesce a sovvertire la consuetudine. Parla al presente. Perché Costanzo “ha inventato un modo di fare televisione, trasportando le informazioni dentro al teatro della realtà”. Con lui, dice il sottosegretario alla Cultura, “era costante la narrazione del vissuto quotidiano”. E questo modo di fare televisione così rivoluzionario ha contribuito a forgiare una patina di unicità. Un tratto che non sfiorito, ma che invece “si è riprodotto, ha creato adepti”.

Tant’è che ora “la televisione è piena di Costanzo, che assumono le sembianze talvolta di Formigli, talvolta di Porro, talvolta della Panella, talvolta di Giletti”. Insomma “ognuno di loro in qualche modo è la maschera di Costanzo. Ed è per questo che non può morire”. Al giorno d’oggi si direbbe che il conduttore è stato prima di tutto un “talent scout”. E di questo Sgarbi è l’archetipo. Anche se, rivela il critico, “Costanzo non ha scoperto i talenti, ma li ha trovati. Persone che, in una sorta di rapporto paterno, si è portato con sé tutta la vita”. Una vita passata a favore di camera. Ed ecco perché “è pressoché impossibile immaginare una vita privata di Costanzo. Lui ha vissuto in televisione e per la televisione. L’ha fatta vivere anche ai suoi spettatori in questo continuo scambio e immersione completa nella realtà”.

Per descrivere le sue partecipazioni alle trasmissioni condotte da Costanzo, Sgarbi utilizza una metafora che ben gli si attaglia. “Era come partecipare a un incontro di boxe – ricorda – senza chiaramente poterne immaginare l’esito. Una sensazione formidabile, anch’essa estremamente realista invero”. Troppi sarebbero gli episodi da raccontare e che hanno visto il conduttore e il critico co-protagonisti di “numeri irripetibili”. “Fino all’ultimo – dice Sgarbi – è stato un ring. Anche con Giampiero Mughini, nel maggio dell’anno scorso”. Oltre ai “numeri”, c’era anche una componente informativa e “sociale” che ha svolto brillantemente Costanzo. “Quando parlava di mafia – ricorda Sgarbi – riusciva ancor di più rispetto al solito a trasmettere il “realismo”. In qualche modo il suo desiderio era quello di proiettare i suoi telespettatori dentro la realtà”. Poi l’amicizia con Falcone, le interviste ai più grandi: “Mancava solo l’intervista a Zelensky”, dice Sgarbi. Siamo sicuri che sarebbe stata unica. Un po’ com’era lui che, nonostante il sipario della vita si sia abbassato, “continua a vivere: con lui la vita diventava più teatrale del teatro e il teatro più forte della vita”.

Costanzo non è morto. Il ricordo di Sgarbi

Il sottosegretario alla Cultura, lanciato da Maurizio Costanzo: “Non ha scoperto i talenti, ma li ha trovati. Persone che, in una sorta di rapporto paterno, si è portato con sé tutta la vita. Ha inventato un modo di fare televisione che è unico e che non può morire”

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