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Manipolare le percezioni, viziare e contaminare le informazioni, promuovere narrazioni distorte, interferire nei processi elettorali di uno Stato e portare alla disunione e all’inazione la sua struttura burocratica e decisionale. Questi gli obiettivi di una guerra costante e latente, che vede la Russia in prima linea dal 1952, sin dalla creazione da parte del Kgb del Dipartimento D per la disinformazione e le active measures (dezinformacija e aktivnye meroprijatija), e che ha reso oggi Mosca un vero e proprio  modello operativo per Pechino, Teheran e Pyongyang, come sottolineato nel nuovo report dell’Institute for the Study of War.

Imparare a conoscere e riconoscere la guerra cognitiva è oggi un primo passo per lo sviluppo di una difesa non facilmente permeabile e consapevole.

Quali le modalità

La guerra cognitiva, o cognitive warfare, fa dell’asimmetria, della diversità e della contemporaneità delle sue minacce i suoi elementi chiave. Operando all’interno della zona grigia, ovvero al di sotto della soglia dei conflitti armati convenzionali, le guerre cognitive sono spesso parte di campagne ibride – hybrid warfare – dirette a manipolare le percezioni di un singolo attore statale, politico o sociale e condotte congiuntamente  ad interferenze elettorali, attività di coercizione economica, disinformazione ed attacchi cibernetici, sabotaggio delle infrastrutture critiche e bellicizzazione e manipolazione dei flussi migratori.

Le campagne di cognitive warfare, ricorda poi l’Institute for The Study of War, si avvalgono di veri e propri “soldati cognitivi”, ovvero agenti di influenza individuali, come giornalisti, divulgatori, professori o personalità di spicco e capaci di influenzare l’opinione pubblica o interi apparati, come agenzie di informazione e mass media, infiltrando narrazioni distorte con il chiaro intento di manipolare le percezioni dell’opinione pubblica, dall’agenda massmediale a quella politica, fino al reclutamento di uomini per fini bellici. Tutto ciò attraverso lo sfruttamento dei bias cognitivi, delle emozioni primarie (come rabbia, paura) e delle linee di faglia sociali e politiche all’interno degli Stati target, minando la fiducia e la coesione popolare, esercitando sui governi nazionali confusione e pressione portandoli, così, alla confusione e inducendoli alla disunione e all’inazione. Meno costose, investigate e politicamente e mediaticamente trattate, le campagne di guerra cognitiva – ed ibrida – tenderanno ad aumentare la percezione dell’insicurezza e la confusione informativa dei loro target, partendo spesso dalle periferie geografiche e sociali e puntando al centro delle catene di comando e delle strutture burocratiche e di decision making, come nei casi della weaponizzazione dei flussi migratori e dei sabotaggi delle infrastrutture critiche e di comunicazione. 

Quali gli obiettivi

Mosca si muove su una duplice direttrice strategica: necessità ed opportunità. Da un lato la necessità di modificare la percezione nazionale del Cremlino, per cui il controllo delle narrazioni diviene una necessità interna – e caratteristica dei regimi – che vuole portare la popolazione ad accettare i sacrifici o le linee politiche che Mosca impone e per le quali desidera mostrarsi più legittimata e forte. Dall’altro lato, l’opportunità di sfruttare gli elementi di differenza e divergenza dell’Occidente, dell’Europa e della Nato a proprio favore, attraverso campagne di interferenza e sovversione che operino sulla natura delle realtà democratiche, ovvero il consenso popolare e le complesse strutture decisionali, come tessuto di attecchimento ed attacco. L’obiettivo finale di Mosca, avverte l’Isw, è portare i suoi target all’inazione e all’incapacità decisionale, minandone la volontà politica. 

I costi dell’inazione e le opportunità di reazione

Quando l’obiettivo è la contaminazione delle informazioni, ogni processo elettorale ed ogni momento di decisione politica – dal livello nazionale a quello europeo o Atlantico – rappresenta un possibile campo di battaglia. L’inazione, all’interno dello status quo globale attuale, rappresenta oggi una condanna all’oblio e alla resa. La soluzione? Secondo l’Institute for the Study of War si tratta di tracciare, comprendere le modalità ibride russe, interferendo con queste ma non rispondendo in modo simmetrico. Infatti, il solo riconoscimento di una campagna di disinformazione o di guerra cognitiva ne neutralizza gli effetti, almeno in gran parte. Gli attacchi ibridi e cognitivi offrono, al tempo stesso, un’opportunità di resilienza e strategica, ovvero la costituzione di un sistema efficace di consapevolezza situazionale per monitorare, prevedere e neutralizzare i vettori di minaccia diretti verso gli Stati bersaglio. In poche parole, la creazione di uno strutturato sistema di sicurezza conoscitiva – e cognitiva – nazionale. 

Guerra senza soldati. Così funziona la cognitive warfare di Mosca

Il nuovo report dell’Institute for the Study of War analizza, su un triplice livello storico, tattico ed operativo, le modalità di conduzione e gli obiettivi della cognitive warfare russa. Ecco come e perché opera

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