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L’Ilva, o meglio l’ex Ilva, non può morire. Senza il suo polmone d’acciaio, addio politica industriale italiana. Sono giorni che il ministro del made in Italy, Adolfo Urso, va predicando la necessità di un riassetto dei principali comparti, dalla siderurgia, alle telecomunicazioni, passando per la logistica. Impossibile immaginare una sana e strutturale crescita senza che i motori girino a velocità di crociera. E il primo capitolo da affrontare è il polo tarantino, che negli ultimi anni non ha mai praticamente conosciuto pace.

Breve riassunto. A Taranto, oggi controllata al 62% da Arcelor Mittal e partecipata al 38% dallo Stato via Invitalia (solo nel 2024 il governo diventerà padrone dell’ex Ilva, salendo al 60%), è di nuovo allarme cassa. Il miliardo di euro che il governo Draghi ha stanziato è fermo in attesa del via libera del nuovo esecutivo. E nel frattempo il caro energia sta mangiando tutta la liquidità tanto che quest’anno, ha ricordato Franco Bernabè, presidente di Acciaierie d’Italia, controllata di Mittal, “abbiamo speso quasi 1,4 miliardi di energia, a fronte dei 180 milioni spesi 2020”.

Due giorni fa, poi, la prima vera campanella: stop a 145 imprese dell’indotto, tagliate fuori dalle forniture e 2 mila posti di lavoro a rischio. Per questo i sindacati sono stati chiamati a raccolta dallo stesso Urso al ministero del made in Italy, insieme ai vertici dell’azienda. Che però, a quanto pare, non si è presentata. Formiche.net, sull’esito dell’incontro e non solo, ha intercettato a caldo il leader dei metalmeccanici Cisl, Roberto Benaglia.

“L’incontro (terminato con la decisione di scioperare quattro ore, lunedì prossimo, ndr) è stato il primo con questo governo. Noi non ci siamo mai aspettati bacchette magiche, ma debbo dire che dal ministro Urso abbiamo ricevuto delle rassicurazioni non banali. Lo abbiamo apprezzato. Siamo dinnanzi a un soffocamento, indebolimento della fabbrica, di questo siamo consci”, ha spiegato il numero uno della Fim Cisl. “La vicenda delle 145 imprese dell’indotto fermate aumenta la tensione sociale su Taranto. Trovo positivo il fatto che il ministro abbia condiviso la logica dell’urgenza e della fretta, per arrivare a un riequilibrio tra Stato e Mitta. Credo sia arrivato il momento che lo Stato faccia lo Stato, non sarà facile ma è indispensabile. Urso ci riconvocherà e questo è un altro fattore positivo”.

Benaglia poi si spinge più in là, allargando lo spettro alla politica industriale da troppo tempo latitante. “L’azienda oggi non c’era e questo non è un bel segno. Ma ciò detto, se davvero questo Paese vuole ritrovare una politica industriale, deve partire dall’Ilva. Attenzione, mai dimenticare che questa non è una vertenza ad esclusivo appannaggio di Taranto, qui c’è in gioco l’intera siderurgia e dunque un pezzo di Italia. Mi piace un termine, che ho usato al tavolo, e cioè ‘sovranità industriale’. Questo è l’obiettivo che va perseguito, senza tentennare. Ripeto, l’ex Ilva, è molto più di uno stabilimento, in un certo senso oggi Taranto è l’Italia”.

Lavoratori e governo remano insieme per l'Ilva. Parla Benaglia (Fim Cisl)

L’incontro tra il ministro del made in Italy, Adolfo Urso e le rappresentanze sembra plasmare una prima cesura tra politica e lavoratori per salvare la siderurgia italiana. Il leader dei metalmeccanici Cisl, Roberto Benaglia, a Formiche.net: il governo ha fretta e noi anche, su questo siamo in sintonia. Impensabile una politica industriale senza acciaio al centro

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